Il papiro del V secolo è la sorgente di un fiume lungo ventisette chilometri
MANTOVA. Nell’Archivio di Stato di Mantova 27 chilometri lineari sono occupati da carta. In un archivio è normale. Però 27 chilometri significa, come minimo e per difetto, andare da Mantova a Sustinente. Immaginare l’Ostigliese percorsa da faldoni, scatole e cartelle è abbastanza impressionante. Tutte in coda, un incartamento generale.
Invece, a Mantova, al numero 11 di via Ardigò, con estensione fino a via Dottrina Cristiana e a largo San Luigi Gonzaga, la carta è collocata per bene in orizzontale e in verticale dal pavimento al soffitto e catalogata. Se ti serve il tale documento, c’è sempre l’addetto al caso che in un attimo te la trova, dopo avere consultato il computer. Addentrarsi nelle stanze dell’Archivio Gonzaga e di quelli Giudiziari e Notarili è come percorrere il tempo, dal 1045 al Novecento. È affascinante. E anche inquietante, perché si dice che quando fa buio il luogo sia abitato da spiriti burloni che emettono suoni lugubri e fruscii. Sembra però che tali vocalizzi dipendano vuoi dagli assestamenti di qualche bizzarra scaffalatura di legno, vuoi dalla carta che sussurra al minimo alito di aria condizionata. La carta dell’Archivio è tenuta alla temperatura dovuta perché non si ammali a causa di qualche batterio, muffa o parassita. I virus invece non contagiano la carta.
Tornando ai magazzini, salendo su una scala a chiocciola il rumore prodotto ricorda uno di quelli che Sean Connery doveva sorbirsi dentro l’abbazia del film Il nome della rosa. Dicevamo 1045: è l’anno di un atto notarile, pergamena scritta a inchiostro (appartenente all’Archivio Capilupi) con cui i coniugi Obezo e Domenica, di Goito, donarono delle terre alla chiesa di Santa Maria nel monastero di San Genesio a Brescello, il paese di Peppone e don Camillo. Il documento ha quasi mille anni, ma nulla in confronto al papiro del V-VI secolo: un elenco di atti di un funzionario o ministro del tempo di Teodorico, re degli ostrogoti.
A farci vedere tutti questi bei documenti e a raccontarci la loro storia è Luisa Onesta Tamassia, la direttrice dell’Archivio di Stato. Se il papiro è delicatissimo e tende a deperire, la carta va meglio ma non è il massimo della robustezza. Dipende da cos’è fatta. Quella fatta nei secoli passati con gli stracci è ottima. Quella del Novecento, fatta con residui di legno per stamparci sopra libri popolari e giornali, tende a diventare color marrone e si sbriciola. Tiene invece alla grande la pergamena - costosissima - fatta con pelle di animali, specialmente ovini: lato carne e lato pelo. Per fare un libro ci voleva un gregge, un’ecatombe in omaggio alla cultura. Il lato carne è chiaro e liscio, il lato pelo è scuro e ruvido. La carta, economica, veniva usata per la corrispondenza privata. Ma quando c’era da scrivere qualcosa di molto importante, allora ci voleva la pergamena.
È il caso, nel 1322, di miss Anna Dovara che doveva andare sposa a Filippino, figlio di Luigi Gonzaga, portandogli in dote 4.350 biolche mantovane e 860 iugeri di terra, più svariati diritti di pesca e pedaggi su corsi d’acqua: scritto in splendida calligrafia sul lato carne e arrotolato, una volta srotolato il documento è lungo quattro metri e 35 centimetri e largo 50, ovviamente incollato a pezzi perché nessuna pecora è lunga così tanto. C’è poi, di carta, un volume appartenente alla categoria dei pesi massimi: un registro dove ci hanno scritto sopra dal 1606 al 1727. Abbiamo provato a sollevarlo, ma rischiavamo il colpo della strega: se non sono 20 chili poco ci manca.
Nel corso dei secoli il volumone è comunque dimagrito qualche etto, perché un po’ di carta se l’è mangiata l’umidità dalla parte del “taglio” (il bordo esterno, quello opposto alla parte dove c’è la rilegatura). Quale è la carta peggiore? Quella copiativa, impressa in più copie dalla carta carbone, battuta con la macchina da scrivere. Oltre a essere di pessima qualità, si legge male.
Roba del secolo breve, il terrificante Novecento. Poi sono arrivati i computer, per fortuna. Anzi, per disgrazia: un documento scritto al computer, se non lo stampi su carta buona, col tempo non lo leggi più perché sono cambiati hardware e software, e riversare i testi in quelli nuovi è molto costoso. Oggi come si fa a leggere un floppy disk di vent’anni fa?