Sassuolo. Viaggio nel cuore del grande ospedale senza più vita tra topi e giacigli
SASSUOLO. “Febbraio 2004”. “Gennaio 2005”. Sono alcune delle date scritte con un pennarello indelebile sugli scatoloni accatastati sul pavimento dell’ospedale vecchio. Dal 2005 il complesso è stato via via abbandonato, con l’apertura dell’ospedale nuovo in via Ruini.
L’immobile di proprietà dell’Ausl versa in uno stato di degrado e i residenti segnalano presenze poco raccomandabili. Per questo il sindaco Gian Francesco Menani si mostra amareggiato per la possibilità, sfumata, di realizzare l’Ospedale di comunità lì. Un progetto, l’Osco, per il quale l’Ausl punta ai fondi del Pnrr e che verrà realizzato a Gorzano, in un’area messa a disposizione dal Comune di Maranello. I costi per la realizzazione al posto del vecchio ospedale di Sassuolo, sarebbero troppo elevati. Un’ultima stima parlava di circa 4 milioni di euro per la sola vendita. Inoltre l’ex ospedale è in parte vincolato.
I ricordi dei sassolesi parlano di bellissimi affreschi alle pareti. Viene da domandarsi cosa resti di quegli affreschi oggi, a guardare quegli scatoloni per terra, con documenti di quasi vent’anni fa. Cartelle cliniche forse, nomi dei pazienti, o dei dipendenti di allora, chissà. Fogli su fogli accatastati.
L’edificio della direzione sanitaria è separato dall’ospedale, e circondato da una rete tutta sua. Apparentemente inaccessibile a una prima occhiata, l’ospedale vecchio è in realtà meta non sono di ragazzi curiosi, ma anche per persone poco raccomandabili. Basta seguire con lo sguardo il percorso tracciato sulla rete piegata dalle scarpe di chi si è arrampicato, in uno slalom per non fare scattare l’allarme delle fotocellule, oltre un cancello protetto da un catenaccio. Per un certo periodo al posto di quel catenaccio era stato messo un nastro, evidentemente non sufficiente per interrompere le irruzioni.
Ancora nitidi i cartelli che indicano le direzioni. «Guardia medica». E ancora: «Centro prelievi diabetologia». In fondo, nel cortile dove crescono le erbacce, c’è la cabina telefonica da cui negli anni ’90 si chiamava a casa per riferire come era andata una visita, o un’operazione. Ora quella cabina è solo uno dei tanti “cadaveri” che riposano nel cortile.
«Ci sono un sacco di topi, fate attenzione», dice una donna che abita su una palazzina confinante con l’edificio. «Ogni tanto capita di vedere qualcuno dentro», conferma spiegando come alcune tapparelle siano abbassate, altre finestre invece aperte.
Percorrendo il perimetro dell’edificio si notano alcune finestre e porte murate. All’ingresso c’è un campanello che recita “portineria”, inutile suonare, nessuno risponderà. Sull’erba incolta, delle pentole, una padella. Ci sono anche degli indumenti: una camicia azzurra, una polo a maniche lunghe a righe. Tanti dettagli che raccontano una storia passata. Un piccolo crocifisso bianco sotto una finestra murata. Pneumatici appesi alla rete aperta e risistemata in più punti, col filo spinato che non sembra essere poi così efficace. Muri scrostati, pezzi di calcinacci, rifiuti, bottiglie.
«La sera vengono i drogati, qui – dice senza tanti giri di parole un residente – È un peccato, un immobile così in centro lasciato andare così. So che l’Ausl chiede tanto per la vendita. Qui abbiamo tanti imprenditori che spesso intervengono per riqualificare zone o dare alla città quello che serve. Penso che il sindaco dovrebbe fare da intermediario per trovare una soluzione». C’è chi sostiene che ci sia la presenza di amianto nello stabile. Tornando indietro, sul cancello principale, c’è un cartello: «Fonti di pericolo all’interno». Viene da chiedersi quante.
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