Caso Belmonte, il procedimento va avanti: per il Tribunale del Riesame ricorso inammissibile

UDINE. Il Tribunale del Riesame di Bologna ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso relativo all’ordinanza che, lo scorso 15 febbraio, aveva portato agli arresti domiciliari il dirigente di polizia udinese Giovanni Belmonte, 54 anni.

Contro il funzionario era stata inizialmente formulata dalla Procura di Bologna l’accusa di prostituzione minorile. Giorni dopo – a seguito dell’interrogatorio di garanzia del 22 febbraio e al termine di attività di riscontro su quanto dichiarato dallo stesso Belmonte che ha sostenuto l’infondatezza dell’accusa – sono stati gli stessi pm e gip (rispettivamente Michele Martorelli e Domenico Truppa) a revocare la misura di custodia cautelare.

Il primo marzo il dirigente della Divisione amministrativa sociale e dell’immigrazione della questura di Udine è tornato libero. Così, di fronte a una misura cautelare già revocata, il Tribunale del Riesame ha ritenuto di non doversi pronunciare. «Come potevamo immaginare – ha spiegato nella giornata di giovedì 10 marzo l’avvocato Stefano Comand che difende il dottor Belmonte –, i giudici hanno lavorato sull’assenza di ordinanza. Il provvedimento non mi è stato ancora notificato. Dunque non conosco le ragioni. Posso solo immaginare che questo sia l’argomento fondante, come era, non nelle previsioni, ma nelle possibilità. Avevamo cercato di ampliare il tema delle decisioni, però evidentemente il Riesame, che è il Tribunale della Libertà e quindi non va a fare altri generi di verifiche, ha ritenuto di non aver niente su cui esercitare il giudizio, proprio perché quell’ordinanza restrittiva non c’è più. In sostanza – prosegue il legale – è un nulla di fatto, l’alternativa era rinunziare già una settimana fa al ricorso. Abbiamo fatto questo tentativo proprio per ampliare le argomentazioni. Se il Tribunale avesse ritenuto di approfondire le tematiche, avrebbe annullato l’ordinanza e credo che così ci sarebbe stato uno spiraglio per un’eventuale richiesta di danni per l’ingiusta detenzione. Così non è stato. Aspettiamo la fine dell’indagine e poi ci lavoreremo sopra».

Insomma si giocava tutto sulla differenza giuridica tra revoca e annullamento della misura cautelare. Se ci fosse stato l’annullamento il caso avrebbe preso una piega ben precisa a favore dell’imputato, invece per un’ulteriore chiarimento della situazione bisognerà attendere il prosieguo del procedimento giudiziario.

Durante l’interrogatorio di garanzia il dirigente Giovanni Belmonte aveva fornito indicazioni utili a dimostrare l’infondatezza dell’accusa, «non essendo mai stato a Bologna, né in quell’occasione (si parlava di fatti accaduti nel 2018) né in altre e non avendo mai incontrato la ragazza» che aveva fatto scattare l’indagine. La difesa ha sostenuto con forza la circostanza di «uno scambio di persona», spiegando che il dottor Belmonte assomiglia a uno degli uomini indagati nell’ambito di un’inchiesta romana sulla prostituzione minorile e che, al contrario di questa persona, non ha il tatuaggio (un delfino sulla spalla) che invece la giovane aveva descritto con precisione.

Questi ed altri elementi hanno poi portato l’Autorità giudiziaria al ritiro dell’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari e il Dipartimento della pubblica sicurezza alla revoca del provvedimento con cui il funzionario era stato sospeso dal servizio.