Spresiano, morto sul lavoro nella cava alle Bandie: contro-perizia della difesa di Mosole

Dopo aver chiuso le indagini nell’ottobre scorso sull’incidente sul lavoro che, nel gennaio 2023, nella cava alle Bandie, ai confini tra Spresiano e Villorba, costò la vita Andrei Perepujnii, un operaio moldavo di 31 anni, trovato sotto un cumulo di ghiaia, la procura della Repubblica si appresta a chiedere il rinvio a giudizio per omicidio colposo dei vertici del cda del gruppo Mosole, che gestisce la cava.

Si tratta di Remo Mosole, 89 anni, presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante della Mosole spa (difeso dall’avvocato Piero Barolo), e dei due figli Mara, 55 anni, e Rudi, 52 (difesi entrambi dall’avvocato Nicolò Barolo), nella loro qualità di consiglieri di amministrazione.

Dall’indagine sono usciti definitivamente di scena Gianni e Ferdinando Mosole, i figli di Sergio, gemello di Remo, dopo che quest’ultimo, a Natale del 2022 (dunque neanche un mese prima dell’incidente), aveva ceduto tutto il pacchetto azionario in possesso alla sua famiglia a Remo, cambiando, così, l’organigramma dei vertici del gruppo, leader in Veneto e Friuli nella produzione di calcestruzzi, fornitura di inerti, conglomerati, asfalti, sabbie e ghiaie.

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La consulenza della difesa

Per chiedere il rinvio a giudizio dei Mosole e fissare l’udienza preliminare davanti al gup, la procura della Repubblica di Treviso ha dovuto attendere qualche mese in più. Il motivo? La difesa dei Mosole, rappresentata dagli avvocati Piero e Nicolò Barolo, ha infatti presentato una propria consulenza che ricostruisce la dinamica dell’incidente sul lavoro in modo del tutto differente da quello del perito della procura, su cui si è basato il capo d’accusa del pubblico ministero Massimo De Bortoli, titolare del caso. In virtù del nuovo scenario ipotizzato dalla difesa degli indagati, De Bortoli ha chiesto delle contro-deduzioni al proprio consulente.

L’infortunio mortale

Il tragico incidente avvenne all’imbrunire del 16 gennaio scorso, tra le 16 e le 17. Quel pomeriggio l’operaio moldavo s’era accorto che una delle bocche di carico dell’impianto di estrazione e lavorazione della ghiaia, nella cava alle Bandie, era probabilmente intasata e per questo motivo s’era verificata un’anomala riduzione della produttività dell’impianto.

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Dopo essere salito su un cumulo di ghiaia ed essere poi sceso autonomamente nel cono di scivolamento, senza accertarsi che il nastro trasportatore fosse stato fermato, il 31enne moldavo s’incastrò nella bocchetta sul fondo e non riuscì più a risalire. Una fine orrenda per l’operaio della Mosole che morì a causa della ghiaia che lo sommerse dall’alto, schiacciandogli il torace e soffocandolo.

Probabilmente la ghiaia gli fu riversata addosso dal nastro trasportatore o, addirittura, - ipotizza la procura - rovesciata da un escavatore guidato da un collega che non s’era accorto di nulla.

La procura contesta ai vertici del gruppo Mosole in particolare la violazione del decreto legislativo che riguarda la salute e la sicurezza dei lavoratori nelle industrie estrattive (numero 624 del 1996) e quello concernente la valutazione dei rischi a cui il datore di lavoro deve assolvere a tutela dei dipendenti (28 Decreto Legislativo numero 81/08).