Tom Hanks, Meryl Streep, Steven Spielberg: uno accanto all'altro per raccontare il film The Post, nelle sale italiane dal primo febbraio, storia epica di come prima il New York Times e poi il Washington Post misero le mani, nel 1971, sui Pentagon Papers, documenti segreti del Dipartimento di Stato Usa che palesavano come Nixon e i suoi sapessero bene che la guerra in Vietnam non si sarebbe mai vinta. Storia di grande giornalismo, sana competitività e ricerca della verità, insomma di «american dream» al suo meglio ma anche, come si vedrà, di emancipazione femminile e sfida al potere. Non è cosa di tutti i giorni ritrovarsi a due passi dalla Madonnina un bel pezzo di Hollywood, uno dei migliori a dire il vero con i suoi nove Oscar totali. La città è una calamita per altri eventi ma se si parla di cinema d'oltreoceano, bé, la data è da segnare sul calendario.Forse è per questo che, a fine conferenza stampa (condita qui e là, no comment, da gridolini di scuola talent-televisiva) il magico trio sarebbe in grado di vendere un'auto usata almeno a metà delle persone presenti. Alla faccia della morale del film appena applaudito, storia (magistralmente recitata) sulle blandizie del potere. Steven Spielberg mette subito le carte in tavola, perché è chiaro che se si parla di stampa e potere, il ciuffo di The Donald non può che incombere: «Sin da bambino mi è stato insegnato che la stampa libera è il giardino della democrazia. Ma andando al 1971 e ai tempi di Nixon si assiste a un presidente che intende negare questa libertà, facendo apparire la pubblicazione di una verità scomoda come un reato di spionaggio. Anche oggi in America la stampa è sotto attacco, anzi forse la situazione è peggiore di allora. Quando una storia non piace al presidente Trump, automaticamente diventa fake news». Volando più leggero, Hanks e Streep spiegano perché, per loro, The Post sia una prima volta insieme, perlomeno in un film: appaiono infatti nel ruolo di sé stessi nel documentario Tutto è ispirazione, omaggio alla scomparsa Nora Ephron, talentuosa sceneggiatrice e regista del cinema Usa, amica di entrambi. A quell'incontro si deve ciò che ne è seguito. «Perché io e Tom insieme solo ora? - spiega ironica Streep Un tempo a una ragazza si chiedeva di ballare». Hanks è da sempre tipo dalla risposta pronta: «Sono sempre stato timido a chiedere un ballo, e poi io e Steven a ogni film girato insieme ci dicevamo: accidenti, sarebbe bello avere Meryl qui con noi». Una bugia simpatica, talvolta, passa il filtro della verità. «Con quello che sta succedendo a Hollywood oggi aggiunge l'attrice, che in The Post interpreta la proprietaria del Washington Post Katharine Graham - Nora avrebbe usato la sua ironia pungente». Perché sì, il film di Spielberg parla anche di un altro potere, quello maschile nella politica e nel giornalismo, «nel quale - spiega - una donna come la Graham dovette muoversi imparando a diventare coraggiosa». Dalla missione di tutelare il giornale del marito scomparso insieme ai suoi dipendenti, a farne una testata combattiva, trasformandolo dal secondo giornale locale della capitale a rivale del New York Times. «Per questo Graham è un simbolo, e ha vinto anche un Pulizter con la sua biografia». Il coraggio, in questa storia, è di molti altri personaggi, a cominciare dal direttore Ben Bradlee, volto e bravura di Hanks: «Ben era competitivo, una bestia, non voleva una storia, voleva la storia. Si riteneva bravo e voleva che il Post lo meritasse come direttore». Uno dei segreti del film è proprio l'alchimia tra il direttore e l'editrice, in un gioco di rispetto e ispirazione. A domanda, inevitabile parlando di potere, sul caso molestie, Streep afferma: «L'aria è cambiata a Hollywood, sono ottimista, magari ci sarà qualche passo indietro, ma non si tornerà più al punto di partenza. Che lo scandalo abbia coinvolto nomi dai caratteri cubitali è fondamentale. La voce di tante cameriere, infermiere, contadine sarebbe rimasta inascoltata».