Andre “Dre” Ljustina non si considera un commerciante, tantomeno un reseller (l’appellativo di chi si aggiudica una sneaker rara per poi rivenderla rivalutata), forse neppure un imprenditore. «Direi che la definizione più corretta è “curatore”: le sneakers sono pezzi d’arte e design, e le quotazioni sono all’altezza di quei mercati: per una Nike Mag autoallacciante, quella che indossa Marty McFly in “Ritorno al futuro”, si possono arrivare a spendere duecentomila dollari», racconta nel cortile di Dropout, un negozio di Milano specializzato in sneakers da collezione che racchiude in una vetrina una Nike con lo “swoosh” cucito al contrario, miraggio che un calciatore della Bundesliga sta tentando di acquistare per 140mila euro. Sono ormai decine gli account che propongono affari, ma il sito di e-commerce più importante al mondo è il suo, Projectblitz.com: una teca di rarità custodite in un caveau di Los Angeles, tra cui due paia di scarpe (ne esistono quattro al mondo) indossate da Michael Jordan nel film “Space Jam” e quotate 300mila dollari. «Avevo diciannove anni e facevo la fila davanti a un negozio per le Nike Jordan XI rosse e nere», racconta il trentanovenne, nato e cresciuto a Los Angeles in una famiglia di emigrati croati. «Un bestione della gang dei Blood mi passò davanti minacciandomi con un coltello, e persi l’acquisto. Fu così che scoprii Internet: pubblicai un annuncio, rivendetti alcuni pezzi della mia collezione, e mi si aprì un mondo». Ora si rivolgono a lui celebrities tra cui Drake, che ha appena comprato delle Jordan V Tokyo, Dr. Dre, Jay-Z, Beyoncé, Odell Beckham jr e Travis Scott.

Il passaggio dal puro street style al collezionismo quando è avvenuto?

Nel 1999, con l’uscita della Air Jordan XV. Il design era diventato troppo futuristico e non incontrava più il gusto della nostra generazione. A quel punto i brand hanno iniziato a spingere le riedizioni, che all’inizio finivano al discount per quaranta dollari finché è stata riprodotta la Air Jordan IV: chi le aveva amate ora le rivoleva. E l’estetica rétro è partita.

Quando il pubblico più borghese si è avvicinato al fenomeno?

Quando dal mondo del basket si è iniziato a guardare a quello dello skate. Sono nati tutti i modelli Nike SB creati dal designer Sandy Bodecker (scomparso lo scorso ottobre, nda), con la tomaia più bassa e larga. Sono partite le collaborazioni con brand come Zoo York o con negozi specializzati come Undefeated, abbinamenti di colori mai visti, marrone e nero, rosso e blu, stencil e graffiti. E tutta la cultura delle limited edition è esplosa.

Il modello più iconico di quel momento?

La Nike Dunk high premium SB Diamond del 2005, con il turchese della gioielleria Tiffany, che ha avvicinato i meno esperti e anche il pubblico femminile. Da quel momento, i commessi di Rodeo Drive hanno smesso di guardarti dall’alto in basso se entri in negozio con addosso delle sneakers.

La prima scarpa che è esplosa nelle quotazioni?

La Nike Dunk SB Paris, realizzata in 148 paia per una festa a Parigi nell’ottobre 2013, con le stampe dell’artista Bernard Buffet sulla tomaia. La gente al party non capiva, tutti erano ubriachi e lanciavano le scatole, le dimenticavano sulle sedie. Andai a Parigi e comprai decine di modelli con la carta di credito di mio padre, che mi prese per pazzo. Le avevo pagate poco più di cento dollari e le rivendetti su eBay per dieci volte tanto. Fu la miccia.

A parte Nike e Adidas, quali altri brand hanno prodotto cultura e valore?

New Balance ha realizzato modelli importanti: Jay-Z per esempio ha appena comprato da me una M1300JP. Poi direi i modelli Asics disegnati da Ronnie Fieg e le Con-verse Chuck 70 HL.

Poi sono arrivate le proposte delle grandi maison.

Il più incisivo all’inizio è stato Louis Vuitton con le Stephen Sprouse Sneakers. Ma il botto l’ha fatto Balenciaga con le Arena e le Triple S, che Kanye West ha sfoggiato spesso. Ultimamente Gucci ha guadagnato credibilità, per non parlare di Virgil Abloh con Off-White.

Ma lei davvero vende scarpe sopra i mille dollari ogni giorno?

Sì, dal Giappone a Milano sono accessori delle nuove élite.

E cosa cercano?

Scarpe che parlino per se stesse. Non più colori tenui ma accostamenti forti, stampe, textures. Conta poco quello che hai addosso, se ti sei aggiudicato un paio di sneakers che fa pronunciare “wow” a chi le vede.

Vogue Italia, dicembre 2018, n.820, pag.78