Anziani con il diabete “scomparsi” in Veneto durante il primo lockdown
Studio universitario: chiusi gli ambulatori, molte persone prive di computer non sono più state seguite
PADOVA. Anziano, con scarse o nulle competenze digitali, per lo più solo e affetto da diabete di tipo 2: è questo l’identikit del paziente diabetico maggiormente colpito dagli effetti secondari, quelli meno visibili, del primo lockdown.
È il risultato preliminare di uno studio pubblicato su Diabetes Care, coordinato da Gian Paolo Fadini, professore di Endocrinologia del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova e responsabile del laboratorio di Diabetologia Sperimentale dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare.
«Abbiamo ritenuto di condividere questi risultati proprio ora» spiega il docente «perché si ventila l’ipotesi di un secondo lockdown, come invito a tenere aperti i centri antidiabetici e tutti i centri per la cura di patologie croniche. Sarebbe un errore chiuderli in quanto con la telemedicina in questo momento non riusciremmo a dare assistenza adeguata proprio a coloro che ne avrebbero più bisogno».
«Ci siamo accorti» aggiunge Mario Luca Morieri, esperto di analisi dati «che tra i pazienti assistiti durante il primo lockdown, mancava tutta la categoria dei più anziani, con più gravi complicanze del diabete e con terapie farmacologiche più complesse».
A risentire della chiusura dei Centri durante il primo lockdown, è stata in realtà tutta la popolazione affetta da diabete, ma in misura differente: «Durante tale periodo» illustra Fadini «la maggior parte delle visite non urgenti è stata tramutata in teleconsulto oppure cancellata. Come risultato, abbiamo osservato che, anche contando il numero di visite effettuate in maniera telematica, non è stato possibile erogare l’assistenza a oltre la metà dei pazienti che avrebbero dovuto effettuare visite di controllo in quel periodo".
"Ma, mentre per i pazienti con diabete di tipo 1 (in media più giovani e capaci di interagire attraverso la telemedicina anche grazie ai sensori per il monitoraggio continuo della glicemia), le difficoltà sono state limitate, è fra i diabetici anziani di tipo 2 che abbiamo rilevato i problemi maggiori. Questi ultimi non utilizzano i sensori (riservati a chi fa insulina) e a volte non sono nemmeno raggiungibili telefonicamente. In media, loro si sono mossi di meno ed è possibile che, chiusi in casa, abbiano ceduto ad abitudini alimentari dannose per la loro condizione. È difficilissimo sapere se queste persone siano poi tornate a farsi visitare. Nonostante, dunque, gli strumenti che abbiamo a disposizione, a volte non riusciamo a raggiungere i pazienti».
«Qualcosa di simile e di altrettanto preoccupante» prosegue «è stato osservato anche in ambito cardiologico, strettamente collegato alla patologia diabetica. Durante il lockdown il numero di accessi per infarto miocardico si è ridotto drasticamente, in parte a causa della riorganizzazione degli ospedali e in parte per la paura di infettarsi. Sappiamo però che un infarto non curato, anche se non fatale, avrà delle conseguenze drammatiche sulla prognosi del paziente. Il diabete è uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare, e abbassare il livello dell’assistenza espone i pazienti a un rischio ancora più elevato proprio in un momento in cui il sistema sanitario è in difficoltà nell’erogare assistenza in caso di complicanze improvvise».
In Veneto ci sono circa 330 mila persone affette da diabete, di cui circa 60 mila a Padova e provincia e otto mila seguiti dal Centro antidiabetico dell’Azienda ospedaliera. «Dopo la riapertura, a maggio, abbiamo imparato a gestire gli accessi in modo diverso rispetto a prima» spiega Fadini «il nostro servizio ora può restare aperto. All’accesso rileviamo temperatura, facciamo il triage, il test sierologico; gestiamo gli ingressi in modo da non creare assembramenti e il personale medico e infermieristico è continuamente controllato».
«La prima ondata della pandemia ha rappresentato uno tsunami ed ha trovato il sistema sanitario impreparato» ricorda il prof. Angelo Avogaro, direttore della Diabetologia dell’Azienda ospedaliera di Padova «Nonostante gli strumenti informatici messi a disposizione, non è pensabile sostituire tutte le visite con consulti telematici e dobbiamo trovare il modo di dare continuità all’assistenza diabetologica anche in situazioni di criticità, come quelle che stiamo vivendo durante la seconda ondata». —