Ignazio Moser e Jeep Compass 4xe, la passione nel dna
Questo articolo è pubblicato sul numero 46 di Vanity Fair in edicola fino al 17 novembre 2020
L’autunno stende i suoi vivaci colori sulle colline delle Langhe. Magnifiche terre di vino, ma anche di sport: sulle loro curve si svolgono impegnative gare in bicicletta, compresa una tappa del Giro d’Italia. Le stesse passioni corrono nelle vene di Ignazio Moser. «Io nasco in una famiglia di ciclisti, come molti sanno, però prima di tutto di viticoltori», ci racconta. «Perché mio nonno Ignazio, da cui ho ereditato il nome, faceva il vino in Val di Cembra già prima della Seconda guerra mondiale. Poi mio papà – il celebre campione Francesco – nel 1978 ha aperto l’azienda agricola vera e propria e, assieme allo zio Diego, ha iniziato a fare bottiglie con etichetta Moser». A loro si aggiungono i due figli maggiori del campione e, infine, anche Ignazio, non prima però di aver concluso gli studi in enologia: «Ho frequentato per sei anni una scuola a San Michele all’Adige, molto rinomata per aver decodificato il genoma della vite». E, infatti, parla da intenditore: «Tra i rossi i miei preferiti sono proprio i piemontesi. Il Nebbiolo è un po’ il vitigno principe, che poi si può vinificare, con vari affinamenti nelle diverse zone, come Barolo e Barbaresco. La prima volta che sono venuto in queste zone è stato in bicicletta. Era il 2010-2011, prima di passare da professionista con una squadra americana, per il giro delle Valli cuneesi, una corsa per Under 23». Una tappa molto impegnativa, racconta Moser: «Avevo un ricordo un po’ appannato delle Langhe che, invece, oggi posso godere in maniera più serena alla guida di un’auto ibrida». Scopriamo, infatti, che c’è un’altra passione che accende il 28enne trentino: «Come amo guidare!», ripete diverse volte al volante della nuova Jeep Compass 4xe, un’altra eccellenza prodotta in Italia: «La mia esperienza personale mi ha portato a interessarmi sempre di più all’impatto dell’uomo sul clima. Non per niente in azienda abbiamo iniziato a fare agricoltura biologica ormai da cinque anni. Quindi anche il concetto dell’ibrido mi piace molto», per ridurre le emissioni senza rinunciare «al rombo del motore, che per noi appassionati d’auto non guasta mai». Jeep Compass 4xe, infatti, combina un motore turbo a benzina da 1,3 litri e uno elettrico alimentato da una batteria da 11,4 kWh ricaricabile durante la marcia o con una presa di corrente esterna. In modalità full-electric l’auto viaggia a zero emissioni e con un’autonomia in media di 50 chilometri. «Mi piace in particolare questa categoria: suv non troppo grandi che, in città come Milano dove vivo, assicurano comfort di guida anche su lastricato e rotaie. Poi, se come oggi siamo in zone più “bucoliche”, c’è la possibilità di passare alla doppia trazione, al 4×4. Inoltre si possono selezionare varie modalità tra cui neve, fango piuttosto che roccia, e questo permette di avere una duttilità di guida che secondo me è unica».
Il nostro «pilota per un giorno» ci conduce attraverso paesaggi modellati dall’azione combinata di natura e uomo, a cui l’Unesco riconosce il valore di Patrimonio mondiale, come quello che ammiriamo dal belvedere che si trova nel cuore di La Morra, in provincia di Cuneo. La terrazza del paese, piazza Castello, ci regala una vista imperdibile sulle vigne ed è caratterizzata da una torre campanaria a pianta quadrata alta 31 metri e costruita tra il 1709 e il 1711. Una discesa molto panoramica e divertente per il nostro pilota ci conduce poi a Barolo, dove entriamo nel Castello Comunale Falletti: nato con una funzione militare, diventa residenza, poi collegio e, infine, un museo, il Wine Museum (wimubarolo.it), che racconta in modo poetico l’antico rapporto tra uomo e vino. A pochi passi, meno conosciuto ma non meno affascinante, si trova il curioso Museo dei Cavatappi (museodeicavatappi.it): il collezionista Paolo Annoni espone circa 600 esemplari e sarà felice, come ha fatto con noi, di svelare gli aneddoti sui modelli più antichi, più rari e anche quelli dalle fattezze più osé. Dopo aver studiato la «teoria» nei musei, ci spostiamo di pochi passi per vedere dove nasce il vino, nelle Antiche Cantine Marchesi di Barolo (marchesibarolo.com). Qui Valentina Abbona ci mostra, tra l’altro, alcune delle più antiche botti del mondo.
Dopo questo «aperitivo» culturale, puntiamo verso la Trattoria della Posta di Monforte d’Alba (trattoriadellaposta.it), dove tra i piatti tipici della cucina piemontese ve ne sono alcuni su cui cade a pennello la grattata di tartufo bianco: l’uovo in camicia con fonduta di formaggio di Bra, la carne cruda battuta al coltello, i tajarin. E, a proposito di tartufo, la tappa successiva è la sua capitale: Alba. Qui incontriamo Chiara Dellapiana che lavora in un negozio di piazza Pertinace, la Tartufi Morra (tartufimorra.com), e ci introduce nell’affascinante mondo del Tuber magnatum Pico. Un mondo da esplorare anche online: nel suo 90º anniversario, la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba vive in digitale (fieradeltartufo.org). Il timido sole autunnale si sta abbassando e risaliamo sulla Jeep Compass 4xe per raggiungere il punto migliore per vederlo tramontare: la torre di Barbaresco (torredibarbaresco.it), che regala una vista a 360º su Langhe e Roero. «Le zone viticole del nostro Paese hanno un calore particolare», riflette Moser. «Qui nella Langa, come in Toscana o nelle nostre zone, il vignaiolo italiano riesce a trasferirti quella passione, quell’attaccamento alla terra che, secondo me, è fondamentale nel mondo del vino. Perché si possono fare tutto il marketing, tutte le etichette e tutti gli assaggi del mondo, però tutto parte dalla terra e dalla vigna».
Foto: Simone Tadiello
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