Mantova, anche i guerrieri del soccorso hanno paura
I volontari delle ambulanze raccontano: «Il timore? Portare il virus a casa. Ma a sostenerci c’è la voglia di aiutare gli altri»
MANTOVA. Assieme a medici e infermieri ci sono anche loro in prima linea nella lotta al Covid: gli equipaggi delle ambulanze. Alle prese giornalmente con la paura di contagio, questi “guerrieri del soccorso” portano avanti coraggiosamente il loro servizio.
Questa è una carrellata dello stato d’animo di alcuni, ma rispecchiano ansie e timori di molti. Conferma Sante Benetti, responsabile tecnico di Soccorso Azzurro, spesso operativo sulle ambulanze: «Non è la pandemia in sé che ci spaventa perché siamo più attrezzati rispetto a marzo, ma il tornare a casa, la paura di contagiare i familiari. Ma quando vedi la paura negli occhi del paziente passa tutto, cerchi di consolarlo, di dirgli una parola di conforto specie con gli anziani che temono di non rivedere più i parenti».
Anche il suo collega Andrea Roli, dirigente dei servizi di Croce Verde e operatore nel soccorso, esprime gli stessi concetti: «Un po’ di paura c’è sempre, nonostante le protezioni, ma prestiamo molta attenzione alle procedure quando c’è il sospetto di Covid. Con le mascherine viene meno la mimica del viso, il sorriso che incoraggia persone smarrite, timorose di quel che potrà succedere e allora restano solo le parole per confortarli».
Luigi, un volontario 22enne, soccorritore del comitato di Mantova della Croce Rossa, ribadisce con poche parole le stesse sensazioni mentre rientra con l’ambulanza da un trasporto: «Abbiamo un po’ di paura, poi scatta la voglia di aiutare il prossimo che caratterizza il nostro operato».
Chiude la carrellata Jessica Mendes, 26 anni, capo equipaggio di Porto Emergenza dislocato a Gorgonzola: «Qui nel Milanese e in Brianza siamo tornati ai livelli di marzo. Portiamo i sospetti Covid nel check point di Monza dove i medici in base alle disponibilità li destinano negli ospedali lombardi. L’età dei contagiati si abbassa, non ci sono solo anziani. L’altro giorno un 40enne è finito a Brescia. I turni sono impegnativi: dalle 9 alle 21, ma non di rado terminiamo alle 23 perché ci sono lunghe soste prima di scaricare le persone. Siamo molto tristi, ma anche determinati al servizio di queste persone. Cerchiamo di dare sostegno psicologico, nei loro occhi a volte leggi il terrore di non sapere cosa avverrà. Io dormo in albergo, non torno a casa, e mia madre è preoccupata ma fiduciosa. Sa che uso tutte le precauzioni del caso. Nell’equipaggio, per fortuna, c’è anche il mio compagno, Alex Gandellini, e ci incoraggiamo a vicenda». Anche i “guerrieri” hanno qualche momento di sconforto quando la battaglia è così dura.