Melli: "Solo entrando in campo in NBA, ho realizzato che ce l'avevo fatta"
REGGIO EMILIA. A 18/19 anni Nicolò Melli dominava sui campi della Legadue con la casacca della Trenkwalder, mettendo in mostra tutto il proprio potenziale che l’avrebbe portato di lì a poco a compiere il salto verso Milano.
Oggi, dieci anni dopo e con un figlio in arrivo, il talento reggiano è pronto a cominciare la sua seconda stagione in Nba. Al momento in Germania per ricaricare le batterie, Melli si è reso protagonista di una bella iniziativa all’interno di “Scendi in campo con Nba Italia”, un progetto che ha l’obiettivo di stimolare la ripresa dell’attività cestistica in Italia dopo il lockdown. Sulla pagina Facebook Tissot, sponsor dell’evento, “Nik” ha risposto tramite piattaforma online alle domande dei giovani cestisti del campionato italiano, a cominciare dalla famigerata “bolla” che ha consentito di chiudere la stagione NBA.
«Vi posso assicurare che restare isolati per tanto tempo non è piacevole - ha spiegato - l’organizzazione è stata eccellente ed era l’unico modo per portare a termine il torneo dopo l’interruzione causa virus, ma speriamo sia l’ultima volta in cui siamo costretti a mettere in piedi un programma simile. L’approccio con il mondo della palla a spicchi americana è stato particolare: ero abbastanza nervoso, ma quando ho messo piede sul parquet per la prima volta ho capito che ce l’avevo fatta. Rispetto all’Europa sono proprio due mondi differenti, dalla mentalità allo stile di gioco».
Incalzato dalle domande dei giornalisti d’eccezione (tra gli altri spiccano i nomi di David Cournooh e di Nicolò Dellosto, ex biancorosso, oltre che di Momo Doiuf, talento in rampa di lancio della Unahotels) Melli ha spiegato quelle che sono le differenze tra pallacanestro europea ed americana.
«Negli Stati Uniti le trasferte sono super, con viaggi privati e residenze nei migliori hotel disponibili; l’aspetto piacevole è però quello dell’autogestione, in quanto non esistono pranzi o cene di squadra obbligatori e capita dunque di mangiare fuori con amici anche il giorno della partita. A livello tecnico in Eurolega c’è più fisicità, ma in Nba prevale l’atletismo e questo a volte mi mette in difficoltà. In Italia perdi tre-quattro partite e si entra nel panico, mentre dove gioco ora c’è molta più tranquillità senza esasperazione. Nostalgia? Mi manca il calore dei tifosi: prima giocavo al Fenerbahce che è una delle arene più calde, mentre soprattutto in regular season il pubblico viene semplicemente per gustarsi lo spettacolo».
L’orgoglio reggiano ha risposto con la semplicità che da sempre lo caratterizza alle curiosità degli ospiti, che hanno toccato varie tematiche; non ultima, quella del razzismo: «Da questo punto di vista l’America è un paese vergognoso ed è un aspetto che è percepibile tutti i giorni. New Orleans, la città in cui abito, ha un’alta percentuale di persone di colore; non è possibile nel 2020 trovarci ancora in questa situazione. Lo schiavismo è stato abolito da poco: non è una questione di destra e sinistra o di repubblicani e democratici. Gli Usa si autoproclamano la più grande democrazia al mondo ma non è così quando c’è un problema così evidente, e col cambio presidenziale non è certo tutto risolto».
La chiusura è stata sul basket e sul rapporto con i media.
«Un aspetto che ho notato è che le statistiche hanno un peso specifico notevole anche nel gioco, con allenatori che ti impongono di prendere una determinata soluzione perché più probabile; ci sono tantissime partite e c’è dunque poco tempo per allenarsi, ma viene privilegiato l’aspetto individuale. Dopo l’esperienza italiana ho cambiato l’approccio con il mondo dell’informazione: leggo e guardo molto meno. Non mi piace la sovrapposizione mediatica ma al momento non sono al centro dei loro pensieri - ha chiuso scherzando Melli - e dunque va benissimo così».
