Pregiudicato esperto in esplosivi nascondeva Sorarù nel suo garage
L’attentatore del Pam di Treviso ospitato da un uomo già coinvolto in un attentato a un imprenditore agricolo
MONFUMO. Enrico Sorarù, l’autore dell’attentato al Pam di via Zorzetto avvenuto la sera dell’8 novembre scorso, si nascondeva nel garage di Primo Possamai, 53 anni di Nervesa. Possamai non è una persona qualsiasi ma un volto noto alle forze dell’ordine. Il suo nome è legato a rapine a uffici postali e supermercati alla fine degli anni Novanta e a tentativi di furto in uffici dell’Asl e detenzione di esplosivo nei primi anni Duemila. Ma soprattutto, di recente, Possamai è salito alla ribalta della cronaca per aver piazzato la bomba che, la notte del 3 ottobre 2017, esplose davanti alla porta di casa dell’imprenditore vitivinicolo di Monfumo, Simone Rech, su commissione di Attilio Bergamin, un anziano prozio di Rech, che con il parente aveva un contenzioso economico che, a suo dire, lo aveva danneggiato.
Le indagini
È chiaro che questo è un aspetto che gli investigatori della questura e dei carabinieri stanno approfondendo. Possamai è noto nel sottobosco della criminalità locale soprattutto per essere un esperto nel campo degli esplosivi e con alle spalle diverse denunce per detenzione illegale di ordigni da guerra e polvere da sparo. Tra le domande che si sono posti gli inquirenti c’è anche la natura del legame tra Possamai e Sorarù. Il primo ha solo dato supporto logistico all’attentatore del Pam di via Zorzetto? Di sicuro, una persona scafata come Possamai non poteva non sapere che fornire un supporto logistico ad un uomo in fuga poteva esporlo al rischio di accertamenti investigativi nello stesso ambito d’indagine. E, ammesso che non sapesse da chi o cosa si nascondesse Sorarù, una domanda se la sarà pur fatta, se ne valeva la pena di nasconderlo nel garage di casa.
La bomba
Nel frattempo, sulla natura dell’ordigno esploso in via Zorzetto, la sera dell’attentato, gli investigatori hanno ormai pochi dubbi. Si tratta di una bomba a mano, probabilmente fabbricata nell’ex Jugoslavia, riempita con oltre un centinaio di biglie d’acciaio da tre millimetri di diametro. Un ordigno potenzialmente in grado di uccidere. Anche in questo caso, gli investigatori stanno lavorando per capire come Sorarù, un uomo da anni senza fissa dimora, con problemi d’alcol e precedenti per piccoli furti, sia riuscito a procurarsi un ordigno così potente e potenzialmente letale. Procurarsi un’arma non è semplice anche se la criminalità organizzata adopera spesso il canale dell’Est per far entrare in Italia armi da guerra come kalashnikov o bombe a mano. Ma come ci è arrivata nelle mani di Sorarù? Una voce, non confermata, sostiene che l’attentatore di via Zorzetto, nell’immediatezza dell’arresto, abbia detto agli investigatori che la bomba l’avrebbe trovata casualmente nei giardinetti di Sant’Andrea, quelli, per intenderci, noti per lo spaccio, a pochi metri dal supermercato. Un’affermazione che non avrebbe alcun valore, se non detta davanti ad un giudice o in presenza del suo legale, ma che appare soltanto come un affrettato tentativo di nascondere la verità.
L’interrogatorio
Ma oggi 16 novembre alle 9, davanti al giudice Angelo Mascolo, che dovrà pronunciarsi sulla convalida del fermo, cui è stato sottoposto, Sorarù avrà modo di parlare e di fornire la sua versione dei fatti. Tutto dipenderà anche dalla strategia difensiva che concorderà con il suo legale, l’avvocato Giuseppe Muzzupappa, in primis se avvalersi della facoltà di non rispondere. Di certo, gli investigatori hanno individuato nella vendetta contro le denunce del Pam, che lo hanno costretto a trascorrere 21 mesi dietro le sbarre di Santa Bona, il movente dell’attentato. Polizia e carabinieri sono convinti che Sorarù stesse progettando una fuga all’estero, dove sapeva muoversi, in particolare in Austria, dove ha un fratello, in Germania, dove ha lavorato molti anni fa, o in Inghilterra, dove ha lavorato ed ha due figli che studiano a Manchester. Ma non gli hanno dato il tempo per mettere a segno il suo piano. —
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