I due corpi sorpresi dall’eruzione, sensazionale scoperta a Pompei
Sembrano addormentati. Un sonno lungo duemila anni. Il padrone, un uomo sulla quarantina, indossa un mantello di lana. Lo schiavo, più giovane, una semplice tunica. Le bocche di entrambi leggermente aperte, una smorfia, un ghigno, un’estrema invocazione. Chissà. Con ogni probabilità soffocati dal calore sprigionato dalla nube ardente. 400-500 gradi centigradi. Quasi un’esplosione atomica. Il Vesuvio distrugge e restituisce. Non smette mai di sorprendere con la sua inquietante presenza. “Incantevole sventura” scrisse Plinio il Giovane all’amico Tacito per descrivere l’eruzione del 79 dopo Cristo.
«Stupefacente», il commento affidato all’agenzia Ansa dal ministro dei beni culturali Dario Franceschini. I due corpi sono stati ritrovati nell’area archeologica di Pompei nel corso di una recente campagna di scavi che neppure la pandemia ha bloccato. Il calco delle loro sembianze è stato realizzato con una tecnica ottocentesca ideata dall’archeologo napoletano Giuseppe Fiorelli: versava gesso liquido nello spazio lasciato libero dai corpi sotto la coltre di cenere e fango vulcanico. Milioni di turisti in visita a Pompei li hanno osservati nelle loro forme innaturali, nello spasmo della morte, nel dolore senza tempo. Fuggivano? Hanno avuto la possibilità di ricongiungersi con i loro cari? Hanno invocato gli dei? «Alcuni per paura della morte si auguravano la morte stessa», ha scritto sempre Plinio il Giovane, per secoli l’unica fonte del disastro naturale. In età contemporanea invece degli abitanti di Pompei e della vicina Ercolano gli studiosi ormai sanno pressoché tutto. Cosa mangiavano, di quali malattie soffrissero, persino i nomi registrati all’anagrafe. Frutto di anni e anni di lavoro in équipe interdisciplinari. Non solo archeologi, ma anche medici legali, botanici, vulcanologi, fisici e tanti altri specialisti. Eppure questo nuovo ritrovamento apre affascinanti scenari. «Una scoperta assolutamente eccezionale. Per la prima volta dopo più di 150 anni è stato possibile realizzare i calchi perfettamente riusciti delle vittime e delle cose che avevano con sé nell’attimo in cui sono stati investiti e uccisi dai vapori bollenti dell’eruzione», racconta Massimo Osanna, direttore del parco archeologico pompeiano e da settembre direttore generale dei musei del MIBACT a Roma.
Ritrovati nell’elegante villa suburbana a Civita Giuliana, 700 metri a nord-ovest della città antica, i due corpi sono già stati esaminati con cura. E raccontano vicende individuali e storie collettive. Il giovane schiavo rivela un’ossatura gracile, minata dalla fatica della condizione servile. Unito al destino del padrone anche nella sventura. Il patrizio pompeiano indossa un mantello di lana, così hanno stabilito gli archeologi. Ma se l’eruzione del Vesuvio è avvenuta nella giornata del 24 agosto - come sostiene una consolidata dottrina storica - perché mai coprirsi con un indumento pesante? Un elemento questo per nulla di dettaglio. Da un paio d’anni infatti si va facendo strada la teoria secondo cui la vera data andrebbe spostata avanti di due mesi: il vulcano esplose il 24 ottobre del 79 d.C. Autunno dunque, non estate.
Già nell’800 gli archeologi erano rimasti muti davanti ai rinvenimenti di un calco di arbusto con bacche autunnali, di alcuni bracieri, di tracce di melograni. Indizi, non prove. Poi due anni fa la scoperta di un’iscrizione a carboncino durante nuovi scavi nella “Casa con giardino”. Una frase tracciata dalla mano di un operaio di duemila anni fa. Un enigma. Svariate interpretazioni del breve testo latino, ma tutti d’accordo nel sostenere che la data lì indicata rimanda al mese di ottobre del nostro calendario. Poiché, sostengono gli archeologi, è stata ritrovata in una sala dove nell’anno 79 erano in corso lavori di ristrutturazione, quelle parole sono le ultime che i pompeiani ci hanno lasciato prima di essere sepolti dallo “sterminator Vesevo”. Eccola dunque l’iscrizione: “XVI (ante) K(alendas) Nov(embres) in olearia / proma sumserunt ...”. Così decifrata da Giulia Ammannati, docente di paleografia latina alla Normale di Pisa: “Il 17 ottobre hanno preso nella dispensa olearia ...”. Una settimana dopo la montagna, per millenni rimasta silente, iniziò a brontolare, a tremare. Non scapparono i pompeiani. Non avevano consapevolezza del pericolo. Erano destinati a restare immortali, come oggi gridano al mondo il giovane schiavo e il maturo patrizio. —