Resistenza e speranza: l’esempio di Turoldo nei momenti di crisi
UDINE. Ricordare la nascita di padre David Maria Turoldo, avvenuta il 22 novembre 1916, in questo momento difficile si fa particolarmente significativo perché persona resistente che rigenera “speranza” con il peso e la fatica dei precisi costi. La tipologia della Resistenza confina con le urgenze delle concrete situazioni storiche. Che “valori” s’impongono oggi, nella pandemia, ai nostri gesti resistenti? Quale “uomo” ha in progetto l’Assoluto tecnologico che caratterizza la potenza creativa di nuovi Prometei? Quale libertà “libera” la ricerca?
La “Cronaca” del convento di Santa Maria dei Servi in San Carlo annota che “il 12 luglio 1941 giunsero a Milano i «R. R. Padre Camillo M. De Piaz e David M. Turoldo». Nell’autunno del 1942 gli Alleati iniziarono a bombardare pesantemente la città con una violentissima offensiva aerea contro i principali centri industriali e proseguirono nel 1943, specie durante agosto, quando morirono oltre mille persone.
Certamente l’incontro con la metropoli lombarda stordisce, nel senso più veritativo della parola, i convenzionali equilibri che la prima conformazione educativa aveva garantito nei conventi della provincia veneta. Agli eventi drammatici la chiesa ambrosiana mobilita tutte le sue forze. Il convento di San Carlo partecipa con intensità operativa a questa supplenza straordinaria ed eccezionale nei confronti dei poteri dello Stato inefficienti e in crisi di legittimità, soffocati del tutto dall’occupazione tedesca del Nord Italia.
La concomitanza della nascente “Repubblica sociale italiana” accelera in molti del mondo cattolico un’attenzione, una simpatia e una volontà collaborativa con la Resistenza che già operava. Il soccorso ai sinistrati e alle vittime della guerra, l’aiuto dato agli ebrei in fuga, l’assistenza ai perseguitati politici e ai partigiani, prepararono molti cattolici, laici e religiosi a superare l’attività prevalentemente culturale spirituale e a impegnarsi su un terreno politico e civile.
Padre Camillo De Piaz in un’intervista afferma: «Nel 1943 la caduta del fascismo fu l’occasione (ma non è giusto dire solo l’occasione perché fu qualcosa di più di un’occasione: fu una maturazione) per entrare nella cosa pubblica... Parlo di una “maturazione” perché, per essere precisi, la nostra scelta –da che parte stare– era avvenuta alcuni mesi prima, tra la primavera e l’inizio dell’estate 1943, quando il Guf (Gruppo universitario fascista) di Milano organizzò una serie d’incontri, di conferenze d’intonazione ormai critica nei confronti del regime. Fu lì che iniziò il nostro impegno civile contro il fascismo”.
Uno dei principali cenacoli di cattolici che si costituì in quei mesi fu sicuramente quello milanese del periodico “L’uomo”, fin dall’inizio intimamente legato all’ambiente del convento di Santa Maria dei Servi in San Carlo al Corso a Milano e alla fattiva e attiva intuizione di padre David. Per lui il nome si richiama a una concezione della Resistenza intesa in senso antropologico e spirituale, prima ancora che politica.
L’Università Cattolica, dove padre Turoldo preparava la laurea in filosofia, era in grado di offrirgli, per la pluralità degli interessi e per la ricchezza culturale dei docenti creativamente critici, proposte di rigenerazione ricostruttiva dell’assetto civile e ecclesiale. La sua tesi di laurea, discussa l’11 novembre del 1946, ha un titolo che, di fatto, è un progetto: “La fatica della ragione. Contributo per un’ontologia dell’uomo”. Sarà “L’uomo”, foglio clandestino resistente, primo nucleo del “Movimento spirituale per l’Unità d’Italia”.
Un’analogica nota di attualità s’impone dopo le affermazioni di ricostruzione degli intenti del periodico che fa Dino Del Bo, un protagonista, nell’aprile del 1955 a dieci anni dalla Liberazione: «L’Uomo era un giornale di tipo particolare. Si sentiva, fin d’allora, l’esigenza d’attrarre alla democrazia, che allora era lotta politica, le categorie intellettuali del ceto dirigente e dei giovani studenti. Era opportuno, allora, un giornale per loro che li liberasse dalle tentazioni del fatalismo e dell’indifferenza, e li rendesse responsabili del perché era necessaria anche la partecipazione cattolica agli avvenimenti che gravavano sul popolo italiano».
La fatica che ci accompagna e ci rende in qualche modo “resistenti” sarebbe di basso e irrisolvibile respiro se i quadri di un futuro riduttivamente consegnato a valori, non solo socio-economici, ma supportati da orizzonti spirituali.