Natale, la scure del Covid sul commercio: consumi e fatturato a picco nel Veneziano
VENEZIA. La scure del Covid sul Natale veneziano. Se per quest’anno i cenoni di famiglia saranno gioco forza in tono minore, per chi ha un’attività economica le feste di fine dicembre rappresentano un vero e drammatico bivio: una boccata d’ossigeno dopo mesi di caduta libera, o la definitiva pietra al collo da cui non ci si rialza più.
Regali natalizi, prestazioni, negozi di vicinato, centri commerciali, prenotazioni alberghiere, clima di sfiducia generalizzato: gli indicatori sono tutt’altro che positivi, e non è un mistero. Il clima di incertezza legato all’andamento della pandemia, alle restrizioni da zona gialla (con lo spettro di passare al più severo arancione o al lockdown rosso) fa il resto. Sullo sfondo, un’incertezza che colpisce tutti: dalle città d’arte come Venezia agli albergatori di Jesolo fino ai negozianti di Mestre.
Il Natale, secondo le stime dell’ufficio studi di Cgia, vedrà un calo di circa 55 milioni di euro di consumi sul 2019. Meno regali per tutti sotto l’albero, insomma. Le cause? Due, indipendenti ma collegate in qualche modo. La pandemia economica ha fatto aumentare il risparmio e diminuire la propensione a spendere. C’è stata poi la consacrazione definitiva del commercio on-line, già in rampa di lancio, e favorito dalla paura del contagio. Per la Confcommercio Unione Metropolitana di Venezia, il Natale sarà qualcosa di simile a una «quaresima medievale».
Il centro studi dell’associazione stima un’ulteriore contrazione dei consumi dell’8% rispetto al 2019, spinto dal clima di sfiducia e di diffidenza da parte degli italiani negativo. «Nelle tasche dei veneziani ci saranno meno soldi, la situazione è tragica e serve ottimismo», le parole del presidente Massimo Zanon.
Ad essere più colpiti, stima Confcommercio, saranno i settori legati ai bisogni non fondamentali, come il consumo di pasti fuori casa, il rinnovo degli abiti, ogni acquisto legato a ricorrenze e ad eventi tradizionali (fiorerie, gioiellerie che hanno crollare anche del 70 – 90% il proprio fatturato). Già in ginocchio, senza pranzi natalizi e veglioni di Capodanno bar e ristoranti potrebbero scontare una flessione tra l’80 e il 90%. Dopo il fuoco di paglia dei saldi estivi, peraltro con performance deludente anche nei comuni balneari, penalizzati dalla risicatissima presenza dei turisti stranieri, il comparto della moda, sia abbigliamento che calzature ed accessori, ha già accusato una contrazione del - 50 -70 % con punte del -80% per il lusso nelle città d’arte, come accaduto a Venezia. Fatturati azzerati anche per oreficerie e orologerie: matrimoni annullati , cassa integrazione e serrande abbassate.
«Natale sarà un punto di svolta: se andrà male, rischia di diventare una strage di piccole aziende». Non usa giri di parole Cristina Giussani, presidente di Confesercenti Veneto e Venezia-Rovigo. Si respira un’aria decisamente più pesante rispetto a marzo, spiega, e la speranza è che da dicembre i provvedimenti del governo consentano ai negozi di aprire la domenica e a bar e ristoranti di aprire oltre le 18. Altrimenti, è la stima, almeno 1.500 piccole aziende rischiano di chiudere e di riaprire mai più.
Ecco perché, in vista del Natale, le categorie hanno già lanciato campagne per sostenere le attività commerciali di vicinato. Confcommercio ha già iniziato a distribuire volantini con l’invito a fare gli acquisiti nei negozi del quartiere di residenza e dei centri storici. «Non diamo per scontate le aperture dei negozi di quartiere dove risiediamo», spiega Massimo Zanon, «delle strade dove passiamo ogni giorno, delle piazze, principali o più decentrate, che frequentiamo o frequentavamo prima della pandemia. Sulla stessa lunghezza d’onda l’appello di Confesercenti: «Invitiamo i consumatori a fare regali fin da subito: nei negozi di vicinato la sicurezza è garantita», spiega Cristina Giussani.
Nera la situazione degli hotel. Per Marco Michielli, presidente Federalberghi Veneto, la parola chiave è «sopravvivenza»: «Venezia città dall’acqua alta del novembre 2019 non si è più ripresa, chi è andato meglio ha perso il 50% ma in molti casi, San Donà e Portogruaro ad esempio, il calo è ormai stabile del 90%». Né si vede la luce in fondo al tunnel: da inizio pandemia, la filiera turistica nella sola provincia di Venezia ha perso «almeno 4 miliardi e mezzo di euro». «Manca fiducia e speranza, l’economia invece», conclude Michielli, «ha bisogno di certezze». —