Licenziata, il Comune di Reggio Emilia deve reintegrarla
REGGIO EMILIA. Deve lavorare tre giorni alla settimana ma negli ultimi tre anni era più a casa che in municipio. Ecco perché una cinquantenne reggiana è stata licenziata dal Comune di Reggio. Secondo l’ente pubblico avrebbe allungato i suoi riposi o le festività attaccandoci più volte dei giorni di malattia, congedi chiesti all’ultimo momento o permessi per assistere parenti. Il tutto generando caos nell’organizzazione del lavoro e un aggravio di costi per coprire le continue assenze. Un licenziamento vissuto «come un fulmine a ciel sereno» dalla dipendente pubblica del Comune di Reggio, ente che nel giugno scorso ha preso carta e penna e tramite un provvedimento di 14 pagine ha lasciato a casa l’operatrice sottoposta a turni di lavoro all’interno del servizio di accoglienza. Alla lettera di licenziamento, però, la dipendente pubblica ha risposto con un ricorso dal giudice del lavoro di Reggio, vinto dalla donna che sotto l’albero si è trovata la sentenza favorevole e a giorni attende il reintegro nel posto di lavoro.
In pratica il Comune di Reggio Emilia ha ritenuto di poter licenziare la dipendente aderendo ad una tesi della Cassazione che consentiva il licenziamento per motivi oggettivi. Vale a dire quelli legati alla produzione della dipendente che, seppur legittimamente per malattia, si era assentata in modo “strategico” e a “singhiozzo”, cioè nei giorni vicini alle festività o in corrispondenza dei propri turni di lavoro, procurando così il motivo “oggettivo”. Il Comune ha infatti lamentato disservizi nella gestione del personale, rendendo “oggettivamente” non più utile la prestazione lavorativa della donna. Un arzigogolo giuridico diventato però un vicolo cieco per l’ente pubblico, che ha scelto la strada contenuta nella tesi dalla Cassazione, che però è stata “bocciata” dal giudice reggiano. Il giudice del lavoro ha infatti annullato il licenziamento comminato alla dipendente del Comune di Reggio Emilia ordinandone la reintegrazione nel posto di lavoro.
Una sentenza definita «interessante» dall’avvocato Alessandro Ancarani, legale della donna, «poiché il giudice del lavoro ha invece stabilito, secondo anche un più recente orientamento della Cassazione, che anche in questo caso il tipo di licenziamento doveva seguire l’iter disciplinare, ovvero il datore di lavoro doveva attenersi alle norme che presiedono all’accertamento della responsabilità del dipendente, non potendo limitarsi a statuire l’inutilità oggettiva della prestazione lavorativa perché connotata da assenze giudicate “strategiche”. Doveva invece dimostrare la colpevolezza della dipendente in tale comportamento e così seguire l’iter procedimentale della responsabilità disciplinare». Fatto salvo il reintegro e il pagamento degli arretrati, nulla vieta al Comune di tentare una strada alternativa. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA