L'ultima speranza di Trump: il voto in corso in Georgia
I due ballottaggi nello Stato del Sud decideranno chi controllerà il Senato. E quindi l'agenda legislativa della futura amministrazione Biden. Tutte le ripercussioni politiche della votazione. Non esenti da paradossi.
Ci siamo. Oggi, si vota in Georgia per i due ballottaggi che dovranno decidere la prossima maggioranza del Senato statunitense: le operazioni di voto si svolgeranno dalle 13 all'una di notte (ora italiana). La tensione politica è alta, così come l'incertezza che – al momento – continua a regnare sovrana. Ricordiamo che – in base a quanto prescrive la legge del cosiddetto Peach State – questo doppio turno si è reso necessario dopo che, lo scorso 3 novembre, nessuno dei candidati in lizza è riuscito a superare il 50% dei voti. Il punto è che, con il tumultuoso strascico delle presidenziali, questo nuovo appuntamento elettorale si è caricato di numerosi significati sul piano politico, aggiungendo turbolenza a turbolenza.
Il primo duello è quello che riguarda il senatore repubblicano uscente, David Perdue, arrivato alla scadenza naturale del suo primo mandato (iniziato nel 2015). A sfidarlo è il giornalista investigativo democratico Jon Ossoff. La seconda contesa vede invece come protagonisti la senatrice repubblicana, Kelly Loeffler, e il pastore battista democratico, Raphael Warnock. In quest'ultimo caso abbiamo un'elezione speciale, visto che la Loeffler è diventata senatrice su nomina – nel 2019 – dell'attuale governatore repubblicano, Brian Kemp, dopo che il precedente senatore dell'Elefantino, Johnny Isakson, si era dimesso anticipatamente dal proprio incarico. Al momento la situazione appare sul filo del rasoio, con il sito Five Thirty Eight che vede i due candidati democratici lievemente avanti (Ossoff avrebbe un vantaggio dell'1,8%, Warnock del 2,1%).
Se queste rilevazioni si rivelassero corrette, il grande rischio sarebbe – come già accaduto alle presidenziali – quello di un risultato in bilico che determinerebbe contestazioni e risentimento, contribuendo ulteriormente a una già grave crisi di fiducia nelle istituzioni. Del resto, il sito di Abc News ha evidenziato che, per conoscere l'esito definitivo del voto in Georgia, potrebbero volerci svariati giorni. Per il momento, l'unica cosa certa è il netto vantaggio dei due candidati democratici in termini di raccolta fondi: secondo quanto riferito due settimane fa dal sito di Cnn, entrambi avrebbero leggermente superato la soglia dei 100 milioni di dollari, laddove i loro contendenti repubblicani si sarebbero fermati a poco più di 60 milioni. L'asinello si conferma dunque il partito con maggiore potenza di fuoco a livello finanziario, per quanto ciò non implichi necessariamente la capacità di vincere: nonostante le ingenti donazioni i dem, lo scorso 3 novembre hanno perso numerosi seggi alla Camera e non sono riusciti a concretizzare quell' «onda blu» (da molti preconizzata), per riconquistare rapidamente il Senato.
Ed è qui che veniamo alla posta in palio di questi ballottaggi. In primo luogo, troviamo – come già accennato – proprio la questione del Senato. Per mantenere la maggioranza alla Camera alta, ai repubblicani basta una sola vittoria, laddove l'asinello ha bisogno di entrambi i seggi. Se vincessero sia Ossoff che Warnock, il Senato risulterebbe spaccato esattamente a metà (50 seggi a partito) e i democratici conquisterebbero la maggioranza grazie alla vicepresidentessa, Kamala Harris. In secondo luogo, non va tuttavia trascurato che anche lo scontro politico nazionale sia ormai entrato a gamba tesa nella competizione della Georgia. In particolare, questa dinamica si sta verificando sotto due aspetti.
Abbiamo in primis la controversa telefonata, il cui audio è stato diffuso l'altro ieri dal Washington Post, in cui Donald Trump sabato scorso ha esercitato pressioni sul segretario di Stato della Georgia, il repubblicano Brad Raffensperger, per riesaminare i risultati in loco delle presidenziali di novembre. Ricordiamo che, in base agli esiti certificati dal governatore dello Stato, Joe Biden ha vinto il Peach State per una manciata di voti, diventando così il primo democratico a riuscire nell'impresa dai tempi di Bill Clinton.
Nel corso della conversazione, il presidente ha sostenuto la presenza di brogli e irregolarità (distruzione di schede elettorali, assenza di osservatori durante le operazioni di spoglio, problemi con il sistema elettronico di voto Dominion). Ha poi affermato di aver ricevuto decine di migliaia di voti in più di Biden, dicendo infine a Raffensperger: «Voglio solo trovare 11.780 voti, che è uno in più di quelli che abbiamo. Perché abbiamo vinto lo Stato».
La diffusione della conversazione ha innescato una bufera politica. Alcuni democratici hanno invocato un'indagine dell'Fbi, mentre un irritato Raffensperger ha lasciato intendere che la procura distrettuale della contea di Fulton potrebbe aprire un'inchiesta. Nel frattempo – come detto – la questione è entrata nella campagna elettorale in Georgia, con Ossof che ha parlato di «attacco alla democrazia» ed esortato i due candidati repubblicani a condannare Trump: una posizione fatta sostanzialmente propria anche da Warnock. Il senatore repubblicano uscente Perdue, dal canto suo, ha respinto la linea d'attacco dei dem: si è detto «disgustato» dal fatto che la telefonata del presidente sia stata registrata e passata alla stampa, aggiungendo che – nel corso di quella conversazione – l'inquilino della Casa Bianca non avesse detto nulla di diverso da quanto asserito negli ultimi due mesi.
L'altra partita, non meno spinosa, riguarda invece l'appuntamento di domani, quando il Congresso si riunirà – sotto la supervisione del vicepresidente americano Mike Pence – per certificare ufficialmente la vittoria di Biden. Circa un centinaio di deputati e una dozzina di senatori del Partito Repubblicano hanno già fatto sapere che avvieranno la procedura per contestare alcuni dei voti, espressi dai grandi elettori il 14 dicembre (tra cui, molto probabilmente, proprio quelli della Georgia). Ebbene, nelle scorse ore, la Loeffler ha annunciato che si unirà ai colleghi «ribelli» in questo tentativo di opposizione.
Che la posta in palio nei ballottaggi odierni sia particolarmente elevata è testimoniato anche dall'impegno sul campo profuso dagli alti esponenti dei due principali partiti. Sul lato dem, sia Biden che la Harris hanno fatto campagna elettorale negli ultimissimi giorni. Tutto questo, mentre – ieri sera – Trump ha tenuto un comizio a Dalton. Un comizio in cui il presidente in carica è tornato sulla questione delle presidenziali, ribadendo di non aver perso lo Stato e invocando una sorta di intervento risolutivo da parte di Pence nella seduta del Congresso di domani.
Ma non è tutto. Perché la partita della Georgia rischia di avere anche delle ripercussioni politiche di lungo termine: ripercussioni non esenti da paradossi. A prima vista, sembrerebbe scontato che Biden auspichi una vittoria dem, perché – in base alla Costituzione – è il Senato che si occupa di ratificare le nomine dei ministri. Eppure, a ben vedere, la situazione potrebbe forse rivelarsi alla fine più complicata. Biden, in altre parole, potrebbe segretamente desiderare una Camera alta in mano ai repubblicani: un elemento che, per lui, costituirebbe un alibi dinanzi alle pressanti richieste della sinistra dem, che sta insistentemente chiedendo dei dicasteri chiave nell'amministrazione nascente.
Dall'altra parte, non è affatto detto che a Trump convenga un Senato repubblicano: se la Camera alta passasse all'asinello, ciò avrebbe degli effetti politici positivi per il presidente uscente. Innanzitutto un simile scenario assesterebbe un duro colpo al capogruppo repubblicano al Senato, Mitch McConnell, che – soprattutto negli ultimi tempi – si sta sempre più sganciando dall'inquilino della Casa. In secondo luogo, questo tipo di possibilità renderebbe Trump come l'unico punto di riferimento autenticamente riconoscibile nella galassia repubblicana, senza il rischio di diarchie intestine. Il che gli tornerebbe utile, qualora avesse realmente intenzione di ricandidarsi per il 2024.