«Il Covid ci indica come cambiare rotta per salvare noi e anche il pianeta»
REGGIO EMILIA. Il pregio del libro “Dentro la zona rossa” sta nel raccontare quasi giorno per giorno, utilizzando più aree tematiche, i due mesi della chiusura totale. Gli autori Franco Motta e Francesco Fantuzzi l’hanno portato a termine nel giugno scorso per puoi pubblicarlo in agosto per l’etichetta Sensibili alle foglie. Accolto con favore al di là di ogni aspettativa, continua a far parlare di sé e a ricevere recensioni non solo da parte di critici ma di studiosi autorevoli a livello europeo come Serge Latouche, economista e filosofo francese sostenitore della decrescita felice.
Un pregevole lavoro a quattro mani in cui Fantuzzi e Motta si interrogano sugli esiti di questa sorta di esperimento sociale determinato dal lockdown, con enormi conseguenze economiche, sociali, relazionali, che ci ha obbligati a confrontarci con le nostre paure e le nostre fragilità. «Nei mesi scorsi – spiegano – abbiamo sperimentato un tempo sospeso, un silenzio inconsueto ma, al contempo, vissuto la paura, subito dinamiche di potere, parlato un linguaggio bellico. Siamo stati obbligati a confrontarci con le nostre paure e le nostre fragilità, coprendo i nostri volti ma al contempo mettendoci a nudo».
«Ma la riflessione – ci dice Francesco Fantuzzi – non riguarda quello che stiamo passando ma guarda al futuro, in questo senso. Non sprechiamo l’opportunità che un virus ci ha presentato, cambiamo rotta nei confronti di noi stessi e della terra. Siamo, come James Stewart, sul ponte del film “La vita è meravigliosa” di Frank Capra: abbiamo potuto vedere seppur in forma parziale, come sarebbe stata la terra senza l’uomo. Possiamo scegliere se buttarci o fare marcia indietro, salvando noi stessi e il pianeta: la zona rossa, quindi diventa il simbolo di ciò cui abbiamo dovuto rinunciare e cui, forse, dovremo rinunciare in futuro».
Un’analisi approfondita riguarda la paura ha fatto irruzione nel nostro quotidiano, si è insinuata nei nostri comportamenti divenendo parte del nostro immaginario. «Il fenomeno non è certo una novità della storia umana e nel passato non era attenuato dal tentativo di rimuovere il concetto stesso della vecchiaia che ormai tendiamo a esorcizzare anche con un semplice fotoshop, e della morte. Il virus ha destabilizzato l’immaginario stesso della paura: un nemico, appunto, invisibile ci spiazza e ci rende ancor più fragili. Una tremenda tenaglia in azione: da un lato il potere con il linguaggio bellico, dall’altro il nostro bisogno di identificare chiaramente chi sta dall’altra parte della trincea dove stiamo combattendo, per dargli un volto e la patente dell’avversario».
La paura all’epoca del coronavirus ha modificato le categorie cui ci siamo finora riferiti: ora il nemico – visibile – è la persona che ci sta venendo incontro perché potrebbe infettarci o, ancor peggio, il traditore o disertore, perché in ogni guerra ce ne sono: ovvero colui che la mascherina non la indossa come il podista. Il nemico della “Zona rossa” non è più il diverso, il nero, il musulmano: è un altro uomo esattamente come noi. E ancora: «Siamo in guerra o in trincea o al fronte combattendo un nemico invisibile». —
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