L'export farmaceutico italiano: 32,6 miliardi di euro l'anno
Dopo l'acquisizione della svizzera Arvelle da parte di Angelini, radiografia del settore farmaceutico italiano. Primo in Europa per produzione, conta 283 imprese con un valore produttivo di 34 miliardi di euro nel 2019. E le esportazioni volano.
L'operazione da 960 milioni di dollari con cui Angelini Pharma ha acquisito la svizzera Arvelle Therapeutics, società biofarmaceutica specializzata in trattamenti per pazienti con disturbi del sistema nervoso centrale, è solo l'ultimo in ordine di tempo tra i deal del settore farmaceutico, uno dei più importanti per l'industria italiana.
Il nostro Paese si posiziona al primo posto in Europa per produzione farmaceutica, con un valore produttivo pari nel 2018 a 32 miliardi di euro, di cui l'80%, circa 26 miliardi, di export. Nel 2019 il valore della produzione è cresciuto del 5,6% a 34 miliardi di euro, trainato proprio dalle esportazioni, che ammontano a 32,6 miliardi di euro, con un incremento del 25,6% rispetto al 2018, .
In Italia operano complessivamente 283 imprese del settore farmaceutico, di cui 221 produttrici di specialità medicinali: in base ai dati di Farmindustria il settore è composto per il 42% da imprese a capitale italiano e per il 58% da imprese a capitale estero (34% europee e giapponesi, 24% statunitensi). L'industria farmaceutica occupa un totale di 66.500 addetti e nel 2019 ha realizzato investimenti per un valore pari a 3 miliardi di euro, che include le spese in ricerca e sviluppo.
Prima del Covid il settore presentava un'attività di fusioni e acquisizioni molto vivace: nel 2019, come spiega un report specializzato pubblicato nel maggio scorso da PricewaterhouseCoopers, le operazioni annunciate nei settori farmaceutico e healthcare sono state 90, con una crescita del 32% rispetto alle 61 del 2018: di queste, 54 si sono verificate nell'ambito dell'healthcare e le rimanenti 36 in ambito pharma, con una prevalenza delle operazioni che riguardano la produzione di farmaci.
Quasi la metà (45,5%) delle operazioni realizzate lo scorso anno è stata di tipo domestico, cioè con entrambe le parti coinvolte di nazionalità italiana, mentre il 36,6% è composto da transazioni inbound – con una società estera che acquisisce un soggetto italiano – e il restante 17,7% da transazioni outbound, cioè effettuate da società italiane che acquisiscono realtà straniere.
Tra i deal più rilevanti del 2019 troviamo operazioni inbound: la più significativa – per un valore di 1,1 miliardi di euro - è quella con cui in luglio i fondi ICG e Mérieux Equity Partners hanno rilevato Doc Generici, uno dei maggiori produttori italiani di farmaci generici. Segue per dimensione il deal di ottobre, attraverso il quale il fondo di private equity Advent International ha rilevato per 700 milioni di euro Industria Chimica Emiliana, il principale produttore di Udca, un ingrediente farmaceutico attivo (Api) usato principalmente per la cura di malattie gastrointestinali.
Nel 2020 la pandemia ha rallentato in generale il mercato delle fusioni e acquisizioni in Italia: nei primi nove mesi dell'anno le operazioni, secondo un report di Kpmg, sono state 537 (-33,7% rispetto alle 810 del settembre 2019), per un controvalore complessivo che si è attestato a 28,5 miliardi di euro, contro i 35,2 dei primi tre trimestri dello scorso anno (-19%). In questo quadro le aziende farmaceutiche hanno mostrato una certa resistenza e la capacità di produrre rendimenti stabili e anticiclici, grazie alla crescita della domanda di sistemi di prevenzione, diagnosi e trattamento delle epidemie, oltre all'aumento dell'offerta di strutture ospedaliere private e centri di diagnostica.
Per questo motivo, anche nell'anno appena trascorso non sono mancate operazioni di m&a di un certo rilievo nel settore: tra le più significative operate da investitori stranieri si segnala l'Opa lanciata su MolMed – l'azienda biotecnologica partecipata da Fininvest – dai giapponesi di Agc, per un valore di 240 milioni di euro. Da parte loro, le imprese farmaceutiche italiane non sono rimaste a guardare e nell'anno della pandemia non hanno disdegnato lo shopping all'estero.
Tra i deal più importanti c'è l'operazione con cui a giugno Menarini ha acquisito la statunitense Stemline, specializzata in terapie oncologiche innovative, per quasi 600 milioni di euro. Un mese prima, a maggio, Mediolanum Farmaceutici aveva perfezionato l'acquisizione della francese ElsaLysBiotech, società di ricerca nel campo dell'immuno-oncologia, mentre a marzo la stessa Angelini aveva acquisito da GlaxoSmithKline i diritti commerciali di ThermaCare, tecnologia brevettata che usa la terapia del calore per curare i dolori muscolari.