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Январь
2021

La stretta che spaventa il Veneto: classe chiusa se c’è un contagio

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VENEZIA. La stretta sulla scuola ai tempi del Covid. Se a partire da giovedì gli istituti superiori riavvieranno la didattica a distanza, con aule sigillate fino al 31 gennaio almeno, anche nelle primarie e secondarie di primo grado – dove pure è consentita la lezione in presenza alternata alla Dad – entrano in vigore misure più stringenti. «Dalla seconda elementare alla terza media, qualora si verifichi un caso di positività al virus, l’intera classe, inclusi insegnanti e operatori a contatto, andrà in quarantena per dieci giorni e alla fine si sottoporrà al test molecolare», fa sapere Francesca Russo, l’igienista a capo del Dipartimento prevenzione. Una procedura non indolore alla luce dell’opposizione annunciata, qua e là, dalle famiglie degli alunni.

«Da alcuni genitori abbiamo ricevuto la diffida scritta a somministrare il tampone ai figlioli», riferisce Luca Zaia «ma gli infettivologi ci segnalano un aumento del 30% delle infezioni nel circuito scolastico a partire da novembre ed è nostro dovere contrastare il diffondersi del virus». Che accade nell’eventualità di un rifiuto del test previsto?

«L’alunno/operatore scolastico per massima cautela dovrà osservare un periodo di quarantena della durata totale di 14 giorni» e la riammissione in aula «è comunque subordinata all’assenza di sintomatologia sospetta» certificata dal medico. La novità? Il protocollo precedente, al riguardo, consentiva il ritorno rapido in aula, senza quarantena, qualora l’esito immediato dei tamponi avesse escluso contagi ulteriori.

Tant’è. Il governatore del Veneto, a malincuore, conferma la decisione di chiudere gli istituti secondari, imitata peraltro da più regioni: «Ribadisco che non è una scelta politica, men che meno un dispetto al ministro, abbiamo interpellato gli scienziati e ascoltato le loro indicazioni. Sono cosciente che stiamo chiedendo un ulteriore sacrificio a oltre 200 mila ragazzi e insegnanti, ma è per il bene della collettività. I giovani non hanno colpa né sono il capro espiatorio, purtroppo occorre evitare qualunque aggregazione capace di veicolare la malattia. Per me questa scelta equivale a un fallimento, la scuola è il nostro futuro e pensiamo che non dovrebbe essere appesa al wifi, tuttavia la situazione è pesante». La questione, peraltro, ha riacceso la polemica politica con scambi d’accuse incrociati.

Così Più Europa Veneto che denuncia il «fallimento congiunto di Governo e Regione, incapaci di garantire la sicurezza al sistema scolastico» mentre Antonio De Poli (Udc) apprezza il rinvio – «È stato accolto l’appello di presidi e docenti che chiedono condizioni sicure per il rientro in aula», e il segretario leghista Matteo Salvini plaude l’operato di Zaia: «Fa bene ad agire così in assenza di garanzie sulla salute di studenti e personale» e se la prende con il ministro Azzolina, rea di aver fatto «poco o niente, sprecando settimane in chiacchiere inconcludenti».

Sullo sfondo, ma non troppo, il malessere familiare che trapela da una lettera aperta alla direttrice scolastico Carmela Palumbo: «Esprimiamo forte preoccupazione non solo per la formazione educativa che la didattica a distanza, come lei ben sa, non può in egual modo, assicurare rispetto a quella in presenza», scrive un gruppo di genitori di studenti padovani delle superiori «Il nostro timore riguarda i danni psicologici, anche gravi, da privazione/limitazione della socializzazione in fase adolescenziale, di per sè molto delicata, ben noti agli esperti in materia». «Altre nazioni europee», è l’amara conclusione «hanno avuto e mantengono un atteggiamento ben diverso, ritenendo la scuola un’importante risorsa per la ripresa economica, sociale e morale del Paese. —




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