«Raised by wolves»: com’è la prima serie tv di Ridley Scott
Raised by wolves, prima serie televisiva diretta da Ridley Scott, avrebbe potuto essere tante cose. La sublimazione di un talento mostruoso. Il punto di arrivo di una tradizione antica. L’alternativa, più nuova e perciò appetibile, alla devastazione fisica ed emotiva della quale ha raccontato Westworld. Invece, la produzione, al debutto su Sky Atlantic nella prima serata di lunedì 8 gennaio, ha mancato di coraggio, di inventiva. E tutto quel che avrebbe potuto essere, semplicemente, non è stato. O almeno non come avrebbe dovuto.
Raised by wolves si è retta su una storia nota, una distopia. «Boston, 2145», ha avvisato un titoletto in sovraimpressione, portando lo spettatore in una città senza più volto, dove una guerra di religione ha cancellato ogni residuo di umanità. Gli atei hanno dato battaglia ai mitraici, cresciuti in seno al cristianesimo pur adorando un Dio diverso, Sol. E la Terra, un tempo culla di civiltà, si è fatta sterile. Tutto quel che è rimasto, sul Pianeta una volta chiamato «casa», è uno scenario di devastazione: polvere, macerie, corpi dilaniati. Una palette grigio-giallastra, il cui filtro si è poi ritrovato su Kepler 22-b, il Pianeta deputato ad accogliere una nuova umanità.
Raised by wolves, dove l’alternarsi di passato e presente non è stato sufficiente a spiegare le ragioni di una guerra studiata per avvisare (i pochi ancora non edotti in merito) della pericolosità dei fondamentalismi, ha cercato di darsi il tono di una genesi fantascientifica. Padre e Madre, due androidi dalle fattezze umane, sono stati incaricati di nutrire alcuni embrioni, «partorirli» e allevarli, così da permettere loro di dar vita su Kepler 22-b ad una nuova civiltà. Ma dei dodici bambini solo uno è sopravvissuto, Campion. E lì, nella crescita del piccolo, gli Adamo ed Eva del nuovo millennio hanno perso ogni logica e, insieme, ogni possibilità di dar forma a un effetto wow.
Madre e Padre, insieme al piccolo Campion, si sono trovati a vivere su un Pianeta sempre più inospitale, fronteggiando l’invasione dei mitraici, la cui arca (formato astronave) è attraccata su Kepler 22-b. Altri bambini sono sbarcati sul Pianeta. Madre li ha rapiti, per crescerli con un’affettività che non ha nulla a che spartire con la perfezione matematica dell’Intelligenza Artificiale. Una guerra ne è seguita, tra umani, androidi e mostri di dubbia provenienza. Ma il futuro orripilante che, sulla carta, avrebbe dovuto indurre lo spettatore a serie e urgenti riflessioni sul presente non ha portato con sé le domande che avrebbe dovuto. Solo, una serie di interrogativi correlati ad una storia in cui si è rivelato impossibile individuare un fil rouge.
Raised by wolves, guerra nella guerra, ha spogliato gli anroidi della loro freddezza. Madre, forse il personaggio più contraddittorio dell’intera serie, è stato dotato della stessa emotività di un essere umano: creatura robotica con gli stessi poteri di un supereroe Marvel, si è scoperta chioccia. E la dicotomia macchina-animale è così sparita. Ridley Scott ha plasmato un mondo avveniristico, infilandoci dentro tematiche attuali: lo stupro, le prevaricazioni, i fondamentalismi e la maternità, la religione e l’opportunismo. Il troppo, però, non gli ha consentito di dedicare a ciascun argomento la profondità che avrebbe meritato. Il risultato è una serie godibile, costellata, tuttavia, di una sua incompiutezza. Gli episodi scorrono e la battaglia di Madre per la salvaguardia dei figli umani riesce ad imprimere alla serie un buon ritmo. Però, c’è un però. E questo però non riesce mai ad abbandonare Kepler 22-b, terra lontana in cui l’umanità ha occasione di rinascere migliore.