Le forme ribelli di Gaetano Pesce
Una grande scultura femminile del maestro del design viene installata a Ferrara, in omaggio alle donne. È un perfetto esempio di questo artista che nella creatività non accetta la norma.
Incontrai la prima volta Gaetano Pesce a Los Angeles, presentando una sua mostra, organizzata da Francesca Valente. Saranno stati 15 anni fa. Lui arrivò da New York, agile, rapido, luminoso. Diventammo subito amici. Lo ritrovai poco dopo a Milano, chiamato alla Triennale da Davide Rampello. Io ero l'assessore alla Cultura, e inaugurai la ricca e fantasiosa mostra, accompagnata da un catalogo mirabilmente originale, in poliuretano espanso. Gomma rinforzata.
Lo portai a vedere la mostra al Pac di Luigi Serafini, a lui spiritualmente affine, architetto artista. Mi colpì subito di lui, maestro di design, il capovolgimento del principio stesso della sua disciplina che prevede la produzione industriale, sui grandi numeri, degli oggetti disegnati e progettati: è la legge del disegn. Lui invece, partendo da un'idea, produceva pezzi unici. Mille vasi diversi. Grandi numeri di pezzi unici. Una rivoluzione, soprattutto estetica. Poi ho iniziato a curare sue mostre, a Firenze, a Milano, a Padova, alla Biennale di Venezia, all'Expo di Milano 2015, a Palazzo Ducale a Mantova. Sempre con mio divertimento per la sua inesauribile fantasia. Intelligenza pura.
Il problema di Gaetano Pesce è l'infinita varietà delle forme: questo ci mostra la natura nella forza dei suoi fondamentali elementi. L'arte, faticosamente, cerca di emulare la natura. Perché, al confronto, la sfida sia vinta occorre elaborare forme nuove attraverso materiali nuovi, ed essi devono essere duttili e pronti per ogni estensione e distorsione. Per questo, fuori dalla natura, Pesce plasma materiali plastici schiumati, una sperimentazione continua di innumerevoli varietà di oggetti realizzati con resine e altri prodotti chimici.
La sua opera, nelle mostre e nelle città dove interviene, è il lungo racconto di un'esperienza in contrasto con i principi dominanti dell'architettura e del design del secondo Novecento, entro cui si agita un'anima indisponibile a ogni disciplina e regola formale per non limitarsi il piacere della fantasia e della meraviglia, espressioni naturali della creatività. Perché il Novecento è il secolo del design, la prima espressione di un'arte democratica.
Pesce, con un urlo profondo di ribellione, reclama che anche i pezzi multipli siano unici: è meglio farne mille unici che cento o mille fatti come uno. E lo dichiara, anche con la Sedia portaritratti del 2018, entrando nel discorso della democrazia, dell'uguaglianza, dell'Arte per tutti, che possiamo far risalire agli ultimi ottant'anni, e forse un po' di più. L'uguaglianza fra le persone, le cose, le culture, le eredità, cui aspiravano i pensatori del XIX secolo e di inizio XX, sono traguardi superati. L'uguaglianza porta inevitabilmente alla noia e alla non comunicazione, perché non resta, evidentemente, niente di originale da dire.
E, per dimostrarlo, scrive: «L'opera (la Sedia portaritratti, ndr) è l'ennesimo omaggio alla diversità, che secondo il suo creatore è motore di comunicazione. Gli uguali non comunicano, invece lo fanno i diversi. In un'epoca in cui tutto è standardizzato e globalizzato la tendenza alla differenza e all'unicità è ciò che fa immaginare il futuro trasformandolo in un elargitore di progresso».
Quindi quello che interessa a Pesce è la differenza. E l'idea di una visione spericolata delle forme che porta alle sue invenzioni. Il diverso è l'arte. Senza diversità non c'è arte. E Gaetano Pesce è il più diverso di tutti i designer. Se noi ne mettiamo alcune creazioni di fronte a quelle di un designer riconosciuto da tutti, come Philippe Starck, vediamo due mondi che convivono e sono perfettamente opposti. Devo dire che alcuni hanno inteso la lezione di Pesce, come i fratelli Campana, e hanno concepito oggetti in cui la diversità chiama un consenso, che è proprio lo stupore, lo stupore che era la chiave del barocco. Perché «il design è fatto della materia dei sogni».
Non possiamo dire che normalmente gli oggetti di design creino stupore. Ma quando io sono davanti a Gaetano e a una sua opera, vedo l'euforia dell'inutile, che è esattamente l'opposto dell'utile su cui si fonda il design. Ci divertimmo, nelle imprese pubbliche, alla Biennale, l'anno in cui curai il più criticato padiglione della storia. Ne sono orgoglioso; è quello che volevo fare e che ho fatto. Ovviamente invitai Pesce, e lui mi portò due troni. Cosa c'entrano due troni? Non sai dove metterli. Sono pittoreschi, sembrano per un film di Gulliver. E poi troppo grandi, perché un re è più grande degli altri, quindi il trono dev'essere per un gigante, per qualcuno che abbia almeno le dimensioni del David di Michelangelo, che è tre, quattro volte il vero.
Io vedevo il trionfo dell'inutile e dell'arte che ritorna alla sua grandezza, qualcosa che nasce per affermare il principio della diversità, come la cupola di Sant'Ivo alla Sapienza del Borromini, capolavoro del Barocco. E non io, ma lui, disse: «Ma avremmo un Adamo ed Eva nudi da mettere su queste poltrone?» Dico io: «Beh, sì». Abbiamo scelto una pornostar: convocai la famosa Vittoria Risi. Non vi dico il compiacimento, la felicità di Gaetano il giorno dopo, quando, completamente nuda, Vittoria si sedette su questo trono. E lui era sempre lì sotto. Qualcuno pensò che fosse una provocazione: in realtà era il desiderio di un uomo che aveva fatto due troni per un re e una regina, fosse anche una magnifica pornostar.
Poi abbiamo l'altro momento, il 2016, quando, contro la Sovrintendenza di Firenze, immaginammo la Maestà Tradita, un monumento alla donna, contro la violenza sulle donne, secondo categorie variamente interpretate. Ricordo che fu impedito a Pesce di mettere quest'opera, davvero insolita e originale, in piazza della Signoria, dove poco dopo arrivò una specie di grande montagna di merda di Urs Fischer. Il sindaco ne era entusiasta, ma nessun fiorentino la guardò senza orrore. Vox Populi. Al popolo imponi una montagna di merda e vuoi pure che dica che è bella? Comunque l'opera di Pesce fu posta in piazza Santa Maria Novella. La montammo di notte, e io ebbi la ventura di salire sul trabiccolo con la gru per toccare toccare il timpano della facciata: inarrivabile. E lì, nessuno, se non gli operai, era mai salito. Penso che le invenzioni di Pesce siano grandi idee espresse attraverso il design.
Vedete le dimensioni: è un'opera che sfida il buon senso che vuole una sedia moltiplicabile, riproducibile all'infinito, che possa entrare in tutte le case... Se io devo immaginare un'avanguardia in cui credere, perché ognuno di noi deve credere in una proiezione nel futuro, io vedo l'avanguardia in Gaetano Pesce, e sono felice, per l'ennesima volta, di poter testimoniare per lui e per la sua formidabile creatività.
Così anche ora, a Ferrara, per la festa della donna, l'8 marzo. In tempi in cui tutto è fermo, la vita sociale è sospesa, i valori di umanità mortificati, la paura dell'altro dominante, era molto facile dimenticarsi della donna e dei suoi valori. A Ferrara non sarà possibile dimenticarla: l'amministrazione comunale ha infatti accettato il dono alla città della monumentale Maestà sofferente di Pesce, straordinaria metafora della violenza sulle donne, impresa di cinquant'anni di vita, che raffigura un corpo femminile infilzato con centinaia di frecce, e circondato da mostruosi animali, già esposta in piazza del Duomo di Milano. Dopo un sopralluogo in alcuni siti cruciali, si è stabilita una collocazione temporanea in piazzale San Giovanni, al termine di corso Biagio Rossetti, a partire dall'8 marzo. Ferrara onora così la donna e la sua forza. Ed è la forza del suo generoso corpo di madre, con il monito a respingere ogni violenza che mortifichi i diritti e l'intelligenza.