Protagonista un giovane che aveva tentato di uccidere un’altra ospite in un alloggio condiviso da più famiglie
TRIESTE. Cinque o sei coltellate contro una ragazza con cui condivideva l’appartamento. Improvvise e senza un motivo. Ancora oggi non c’è alcuna spiegazione su cosa aveva spinto il ventiseienne afgano Ahmad Mansoor a sferrare quei fendenti. Colpi che avevano ridotto la vittima in gravi condizioni.
Lo straniero, indagato per tentato omicidio e lesioni aggravate, è stato condannato a otto anni e quattro mesi di reclusione. La pena è stata inflitta con il rito abbreviato dal gup Marco Casavecchia. L’aggressione era avvenuta l’anno scorso, il 7 marzo, in un alloggio di via Nordio, poco distante dall’ospedale Maggiore. Un’abitazione in cui all’epoca dei fatti risiedevano più nuclei familiari di origine straniera.
Sul caso aveva aperto un fascicolo il pm Federica Riolino: le testimonianze dei presenti, oltre all’evidenza dei fatti, sono state decisive. Mansoor era in cucina. Aveva afferrato un coltello da trenta centimetri, di cui venti di lama, scagliandosi sulla giovane, una ventiduenne bengalese. L’aveva ferita al fianco, al collo e a una gamba.
La donna si era salvata solo grazie al tempestivo intervento degli altri stranieri che vivevano nello stesso appartamento e che erano riusciti a immobilizzare l’aggressore, a disarmarlo e a chiamare la polizia. Durante il parapiglia, nel tentativo di fermare l’afgano, era stato colpito un altro ospite dell’alloggio: un trentasettenne bengalese.
Circostanza, questa, che è costata a Mansoor anche un’incriminazione per lesioni aggravate. Fortunatamente il trentasettenne bengalese non aveva riportato tagli profondi. Gli agenti, quando erano arrivati nell’alloggio di via Nordio, avevano trovato la donna a terra, ferita e sotto choc. C’era sangue dappertutto. L’aggressore era invece tenuto d’occhio dagli altri stranieri. I poliziotti lo avevano ammanettato e portato via. L’uomo, difeso dall’avvocato d’ufficio Paolo Codiglia, era poi finito in carcere al Coroneo.
«Avevo chiesto una perizia psichiatrica sul mio assistito – spiega il legale – perché la violenza e le modalità del gesto non erano la conseguenza di una lite o altro. È stato un gesto immotivato, direi un raptus. Ma la perizia non è stata concessa, tanto più in assenza di documentazione comprovante una patologia psichiatrica. La riproporrò nel processo in appello – annuncia l’avvocato –, inoltre credo che l’imputazione vada rivista: a mio avviso non si tratta di un tentato omicidio, ma di lesioni aggravate».
L’uomo ha già un precedente penale alle spalle: due anni fa era in carcere per scontare una pena detentiva per violenza sessuale. Ora la condanna a otto anni e quattro mesi per l’accoltellamento. Il pm Riolino aveva chiesto dieci anni.
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