Il Tar: la Regione Veneto diffonda i dati dei Pfas nella catena alimentare
Greenpeace vince la storica battaglia in tribunale: uova, salumi e pollame a rischio nella “zona rossa”
VENEZIA. Pfas negli alimenti: dopo l’assalto con la barca e gli striscioni a palazzo Ferro Fini, Greenpeace vince una storica battaglia sulla trasparenza degli atti contro la Regione, che li aveva secretati invocando la privacy con l’obiettivo di impedire che «le emissioni venissero ricondotte ai singoli soggetti».
Tutti i dossier relativi alle 12 sostanze Pfas, Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs monitorate nel 2017 con la “georeferenziazione” delle aziende alimentari possono essere diffusi a chi ne fa richiesta. In ballo c’è la difesa della salute che riguarda non solo la “zona rossa Pfas” tra Trissino, Lonigo, Legnago e Montagnana, ma la sicurezza di chi consuma i prodotti di quella terra, in primis il mais, le uova e la filiera suina.
Il Tar del Veneto, con il collegio giudicante presieduto da Alberto Pasi, Marco Rinaldi primo referendario e Daria Valletta referendario-estensore, ha accolto il ricorso dell’associazione ambientalista e vanificato l’impianto difensivo dei legali della Regione guidati da Franco Botteon, con Luisa Londei e Francesco Zanlucchi.
Di cosa si tratta? È una vittoria di principio che nasce dallo screening avviato nel 2017 dall’assessore alla Sanità Luca Coletto, in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità e lo Zooprofilattico delle Tre Venezie. Per metter fine alle polemiche sulla “salubrità” dell’acqua dei pozzi artesiani e dei canali utilizzata a scopi irrigui, la giunta veneta con delibera del 14 luglio 2017 aveva deciso un giro di vite. In estrema sintesi, aveva imposto l’analisi costante sui pozzi privati in laboratori certificati e stabilito che l’acqua per l’abbeveramento degli animali dovesse rispettare i valori di performance stabiliti per l’acqua potabile. Oltre la soglia di 500 nanogrammi-litro scattava l’obbligo dei filtri a carbone attivo o di chiusura del pozzo. Misura tutt’ora in vigore, che scatena polemiche per i costi.
Per evitare una rivolta con i forconi, Coletto aveva poi convinto l’Iss a monitorare la presenza della catena Pfas sugli alimenti e le coltivazione dell’area avvelenata. Il dossier, presentato a palazzo Balbi dai ricercatori e dall’assessore, aveva dato un esito rassicurante. Tra i prodotti di origine familiare più a riscaio i salumi, il prosciutto, le uova e il pollame.
Addio, insomma, a risotto con fegatini ma anche a una fetta di sopressa? L’Iss aveva detto di no: i valori restano comunque sotto soglia. Il triangolo Trissino-Lonigo-Brendola non era la copia della terra dei fuochi in Campania. Anche se hanno fortemente raccomandato di evitare il fegato suino e tutti i pesci dei fiumi e canali.
Carpa, barbo, siluro, cavedano e tinca che nuotano in acque superficiali dell’area rossa non vanno consumati, visto che hanno una concentrazione di Pfos che supera i 20 nanogrammi per litro. Insomma, sono bombe di veleno, anche se i pescatori continuano a buttare le canne nelle acque del Gua’. Un dossier imponente con 614 campioni di alimenti analizzati e tutti assolti dal rischio veleno, per la gioia di Col etto. Sembrava finita lì.
Invece l’associazione ambientalista, dopo i sit-in in regione e davanti alla Miteni, ha chiesto di utilizzare quel dossier, anche perché a Vicenza è decollato il processo contro la Miteni e alle parti civili quelle analisi sulla contaminazione alimentare possono tornare utili. Di avviso opposto la Regione Veneto, che non ha mai voluto diffondere la “georeferenziazione” delle analisi: insomma, meglio evitare guai con le aziende agricole che producono verdure, frutta e vino a volontà, oltre alle filiere delle carni bianche e rosse.
Il collegio del Tar, guidato da Aberto Pasi, ha valutato che l’esistenza dei procedimenti penali non è un motivo ostativo sufficiente alla mancata diffusione di un atto pubblico. Invocare la privacy non ha alcun fondamento proprio perché la ratio della norma italiana, che a sua volta recepisce la relativa direttiva europea, impone per le questioni ambientali la massima trasparenza.
Immediato il commento di Cristina Guarda, di Europa Verde: «Da anni chiedo, assieme ai cittadini, la pubblicazione di dati che devono essere a disposizione della comunità. Ora la Regione non perda altro tempo. Il Tar, con la storica sentenza 00466/2021, dà ragione ai richiedenti e costringe la Regione Veneto a rendere accessibile i risultati del campionamento, smettendo di trincerarsi dietro dinieghi che non reggono, come dimostrato, alla prova del giudizio». Come finirà? A palazzo Balbi pensano già al ricorso al consiglio di stato.—