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Апрель
2021

Andrea Soldi, morto dopo il Tso. La sua storia in un libro

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Era il 5 agosto 2015, quando Andrea Soldi, 45enne affetto da schizofrenia, venne prelevato da una panchina in piazza Umbria, a Torino, dove gli piaceva trascorrere le sue giornate. Tre vigili urbani lo prelevarono a forza, causandogli una compressione laterale sul collo che fece sì che gli mancasse l’ossigeno al cervello. Andrea morì per ipossia. Quello che è successo dopo lo hanno spiegato le cronache, ma la vita di Andrea, la sua visione del mondo, la sua malattia sono state raccontate in un libro scritto da Matteo Spicuglia, giornalista Rai e tutor del master in Giornalismo di Torino. «Noi due siamo uno», pubblicato da Add Editore, è in libreria da ieri.

Spicuglia aveva seguito il caso da cronista: andava alle udienze, seguiva le indagini, parlava con Renato, il padre di Andrea, e con Cristina, la sorella. «In una di queste udienze sento Cristina che parlando con il padre accenna al diario di suo fratello: lì mi si è accesa la lampadina, era una storia che meritava di essere approfondita», spiega a Futura.news.

«Spinto dalla curiosità ho chiesto informazioni a Renato e Cristina su questo diario, ma non hanno voluto dirmi nulla, anche perché il processo era ancora in corso, e ho preferito non insistere. In una delle ultime udienze chiedo loro di vederci a casa e chiedo nuovamente di poter vedere il diario, inizialmente con l’idea di farci un servizio per il telegiornale. Mi hanno risposto che ci avrebbero pensato, e dopo due settimane mi consegnano il diario, che mi ha colpito enormemente e mi ha dato l’ispirazione per la scrittura di un libro».

Nel suo diario, Andrea Soldi ha raccontato se stesso dalle prime crisi, avvertite quando, nel 1990, a vent’anni, faceva il servizio militare, ha descritto il rapporto con i suoi famigliari e le sue allucinazioni, ha riportato le lettere che aveva scritto ad amici e parenti. Vent’anni di vita, fino a quando la malattia, divenuta più grave, gli ha impedito di continuare a scrivere.

«In queste lettere viene fuori tutta la sua dolcezza, il senso della vita e la profondità spirituale», aggiunge Spicuglia. «Suo padre capisce finalmente che suo figlio non lo odiava affatto, anzi gli voleva bene, ma riusciva ad esprimerlo solo attraverso la scrittura. Dietro l’immagine di un ragazzo che passava le sue giornate su una panchina a parlare da solo in maniera concitata si nascondeva una persona capace di esprimere la bellezza nella fragilità, con una profondità di pensiero e di sentimenti, di visione sul valore della vita, della famiglia e dell’amicizia. È stato come rimettere insieme i pezzi che 25 anni di malattia avevano stravolto».

Oltre al diario di Andrea, per scrivere il libro Spicuglia ha tratto spunto dalle conversazioni con i suoi familiari e dai documenti processuali: un lavoro durato tre anni. «L’auspicio è che questo racconto serva a far sì che quest’esperienza diventi patrimonio di tutti e che quello che è accaduto ad Andrea non si ripeta mai più».

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