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Апрель
2021

La droga spiaggiata alla Terrazza Mascagni, da dove tutto è partito

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Tutto è partito il 2 maggio del 2017 da Livorno. Da un carico di due quintali di cocaina disperso in mare e in gran parte recuperato un po’ dalla guardia costiera e un po’ da alcuni velisti. Con dei sacchi di juta che, tre giorni dopo, sono stati trovati pieni di “polvere bianca” spiaggiati alla Terrazza Mascagni. È dal rinvenimento di 183 chili di cocaina – quasi tutti quelli spediti dalla Colombia – che dopo quasi quattro anni (tre di serrate indagini) i carabinieri del Nucleo investigativo di Livorno, guidati dal maggiore Michele Morelli, hanno arrestato 11 persone e scoperchiato il sistema di infiltrazione della ’ndrangheta in Toscana.

Un sistema ben collaudato, che purtroppo vede il nostro porto come porta d’ingresso. Che difficilmente, almeno con queste tempistiche, sarebbe venuto a galla se un ufficiale di coperta di una portacontainer non si fosse trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, obbligando involontariamente il marinaio complice dei trafficanti a ritardare il lancio del carico di cocaina (dei pallet in legno che avrebbero dovuto galleggiare grazie alle taniche vuote) che poi, calato in mare con grande ritardo e fuori dalle coordinate concordate col clan, è stato squarciato dall’elica, affondato al largo di Livorno e mai recuperato dai trafficanti.

È così che quattro anni fa si erano organizzati gli affiliati della cosca calabrese Gallace. Una barca – un’Oceanis 411 di 12,34 metri, chiamata “Linnet” – salpata da La Spezia alla ricerca della portacontainer, che ha intercettato ma è rientrata senza il carico di droga, dal valore di 15 milioni di euro. Era stato acquistato dai narcos colombiani di Medellín, con gli investigatori che hanno documentato le trasferte in Sudamerica prima del viaggio, per contrattare la fornitura.

A collaborare per il recupero sarebbero stati esponenti della malavita calabrese e sarda. Legami lavorativi, ma anche affettivi, visto che poi uno battezzerà il figlio dell’altro. Entrambe avevano potenti ramificazioni in Toscana, nei dintorni di Livorno. Che hanno stretto un accordo per far entrare la cocaina in Europa. Il vertice dell’organizzazione calabrese è Francesco Riitano, 40 anni, nato a Guardavalle. È un comune di circa 4.000 abitanti in provincia di Catanzaro, purtroppo noto alle cronache per le stragi di stampo mafioso. Il suo braccio destro, Domenico Vitale, di anni ne ha 51 e 22 ne ha passati in carcere (a Volterra) per omicidio plurimo. Sempre lì, a Guardavalle. Poi, scarcerato, è rimasto a vivere in zona: prima a Saline di Volterra, poi a Selvatelle (nel comune di Terricciola, sempre in provincia di Pisa).

Nel 2017 Riitano è latitante da anni. Vive fra Milano e Rapallo, in Liguria. Il suo compito è rimanere nelle vicinanze di Livorno, per gestire gli affari. Troppo importante il nostro porto per lui e il suo clan.

Va in giro sotto falso nome e con documenti falsi mai denunciati dai veri possessori – con un fidato autista che si fa chiamare “Il killer” o “Lo sdentato” – e viene ritenuto il “broker” della droga per la cosca Gallace. È lui, trovandosi al bar della stazione di Livorno con Vitale, che a fine aprile 2017 si organizza per recuperare il carico di droga che poi finirà disperso. La sua rovina, visto che grazie a una catena di eventi – la droga persa e il sequestro, da parte della polizia olandese, di 90.000 messaggi criptati scambiati in italiano da alcuni utenti anonimi e depositati in un server del Costa Rica – il 21 agosto del 2019 i carabinieri del Nucleo investigativo partiranno in aereo da Livorno per arrestarlo, dopo che era stato notato in un residence di Giardini Naxos, vicino a Taormina, mentre si godeva le vacanze al mare in compagnia della famiglia.

I 90.000 messaggi criptati sono un altro punto centrale. Il secondo, dopo il carico perso. Tutti gli affiliati – e le persone che offrivano loro collaborazione – comunicavano per via scritta, con dei cellulari Blackberry modificati (valore 4.000-5000 euro) e scambiandosi i messaggi che finivano, criptati, su un server del Costa Rica. Quei messaggi, un anno dopo, sono stati sequestrati dalla polizia olandese, che li ha acquisiti da un sito dei Paesi Bassi che gestiva proprio il server americano e li ha inviati ai colleghi italiani. Ex post, seppur con anni di ritardo, hanno consentito agli inquirenti di avviare le indagini, collegare la droga alle chat e mettere sotto intercettazione tutti. Con cimici anche sulle auto.

Ricostruendo come all’epoca dei fatti Riitano e Vitale – rivolgendosi al quarantaquattrenne nuorese Robertino Dessì, già in carcere alle Sughere per il tentato assalto ai fini di rapina alla Mondialpol di Cecina – ingaggiò la noleggiatrice di barche spezzina Giuseppina Maria Nieddu, cinquantacinquenne originaria di Alghero, mentre a reclutare chi avrebbe dovuto far navigare l’imbarcazione ci pensò Antonio Talia (63 anni della provincia di Reggio Calabria), visto che Nieddu mise a disposizione la barca a condizione che la pilotasse qualcuno con la patente nautica. Tutti loro sono stati arrestati per concorso in narcotraffico internazionale aggravato dal metodo mafioso.

Ma il porto di Livorno, nel 2019, è stato al centro anche di un altro traffico di droga. Quello per la Sardegna. Il quarantottenne cagliaritano Andrea Serra – presunto referente di Vitale per i grossisti degli stupefacenti del nord Europa – si sarebbe infatti organizzato con lo stesso Dessì per far arrivare sulla seconda isola italiana diversi chili di cocaina. Stagno era il luogo di interscambio. Qui, vicino al distributore Eni e al McDonald’s, sarebbero avvenute le consegne a due camionisti complici (ora ai domiciliari). Sono il trentanovenne Lucio Falchi (di Alghero) e Mattia Derosas (34 anni, di Usini, in provincia di Sassari). Falchi, per altro, il 14 agosto del 2019 era stato fermato dalla guardia di finanza a Olbia durante un controllo: le fiamme gialle lo avevano arrestato con otto chili di “polvere bianca” sul Tir. Li aveva ricevuti da Dessì su incarico di Vitale e Serra.

I legami, con al centro Livorno, sono proseguiti. Coinvolgendo altre persone. Come il quarantaquattrenne sardo Cristiano Puddu (di Siurgus Donigala) che abitava a Volterra. Arrestato dai carabinieri ieri, nell’estate 2019 insieme a Nieddu e al sessantanovenne ferrarese Maurizio Pozzati (poco più di un anno fa finito in carcere per aver progettato una rapina in banca a Vicarello e in quest’inchiesta solo indagato ndr) nell’estate del 2019 si sarebbe organizzato per far passare della droga dall’Albania all’Italia. Il primo settembre di quell’anno, addirittura, a Livorno arrivarono due campioni di stupefacente da “provare”. Ma il progetto saltò, perché Vitale disse no. Meglio l’asse Sudamerica-Livorno. —

altri servizi da pag. 2 a pag. 5

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