Reddito d’emergenza, migliaia di richieste: tanti gli “insospettabili”
È un esercito di nuovi poveri. Persone con una vita e un lavoro normali, fino a poco tempo fa. Poi, su di loro, si è abbattuta la scure della pandemia. E, da allora, nulla è stato più come prima.
E a parlare, per loro, sono i numeri: nella sessantina di sedi di Inca Cgil sparse sul territorio della nostra regione, in poco tempo sono state oltre duemila le domande già spedite all’Inps (la media è di 400 al giorno). Ma quelli che in Toscana hanno diritto al reddito d’emergenza sono molti di più. Almeno altre 7.700 persone che hanno smesso di percepire la Naspi (l’indennità mensile di disoccupazione) tra il 1° luglio 2020 e il 28 febbraio 2021. E che Inca Cgil ha individuato, incrociando i dati. E ha già contattato.
Ora, avranno tempo fino al 30 aprile per presentare la domanda (in via telematica) sul sito dell’Istituto nazionale della previdenza sociale.
Ma Sandro Renzoni, responsabile regionale dell’Inca Cgil, spiega che sono sempre di più i cittadini e i lavoratori con problemi economici che si rivolgono ai patronati per accedere a misure come il reddito d’emergenza, previsto nel decreto Sostegni: tre mensilità erogate alle famiglie in situazioni di difficoltà, come conseguenza dell’emergenza sanitaria. Persone “insospettabili” perché, prima del Covid, un lavoro ce l’avevano. Poi, però, l’hanno perso e, a un certo punto, sono venuti meno anche gli ammortizzatori sociali. E, ora, non percepiscono neppure più la disoccupazione. Vite stravolte, in sostanza, da un’emergenza sanitaria che, ormai, va avanti da più di un anno. Senza sosta.
«Si tratta soprattutto di lavoratori del settore turistico: bar, ristoranti e hotel, ma anche stabilimenti balneari – sottolinea Renzoni –. La crisi non ha risparmiato nessuno, ormai lo sappiamo. E anche in Toscana le difficoltà esistono, a tutti i livelli. Ma i suoi effetti si riflettono ancora di più nelle città d’arte, come Pisa e Firenze. E, ovviamente, sulla costa. Dove tutto l’indotto del comparto turistico è fermo. Da mesi. Questi lavoratori sono riusciti a sopravvivere, nel tempo, grazie ai bonus erogati dal governo. Ma va detto: hanno recuperato soltanto una minima parte dei loro guadagni. Mentre un po’ tutti ne hanno risentito».
Anche per questo, il reddito di emergenza è stato accolto con un sospiro di sollievo dai potenziali beneficiari. Che subito hanno raggiunto il patronato più vicino a casa per sapere se ne avessero diritto. «I nuclei familiari con un Isee inferiore a 15mila euro e senza alcun titolare di pensione in casa – precisa Renzoni – potranno ottenere da un minimo di 400 a un massimo di 800 euro al mese. Si sale a 840 soltanto se in famiglia ci sia un disabile grave o un familiare non autosufficiente». Ma potranno avere diritto al reddito di emergenza anche quei lavoratori che abbiano cessato di percepire la Naspi tra il 1° luglio 2020 e il 28 febbraio 2021: in questo caso, ogni mese, sarà corrisposto un assegno pari a 400 euro per tre mesi, per un totale di 1. 200 euro. «L’attenzione è alta, sul tema – conclude il responsabile regionale di Inca Cgil – e sono molte, anzi moltissime, le richieste di assistenza da parte di cittadini e lavoratori. Il via alle domande è stato dato soltanto da poco, ma già viaggiamo su una media di circa 400 richieste al giorno. E siamo certi che aumenteranno, ancora, da qui al 30 aprile, termine ultimo per la presentazione delle domande».
Ma chi non può accedere a misure come il reddito di emergenza (magari perché i requisiti non ce l’ha), si arrangia come può. Ad esempio rivolgendosi alla Misericordia di Firenze. Che, da una decina di giorni, ha attivato un numero di telefono (055 4282770) che i cittadini in difficoltà possono chiamare. «Riceviamo una media di 40 telefonate al giorno – spiega Andrea Ceccherini, alla guida del coordinamento Misericordie dell’area fiorentina – e le richieste più comuni sono il pagamento di bollette del gas o della corrente elettrica, visite mediche e affitti arretrati per una cifra compresa tra i 300 e i 1. 000 euro. Tra le tante telefonate, riceviamo quelle di proprietari di attività commerciali, come bar e ristoranti. Disperati, perché da mesi non lavorano più. E, allora, non resta loro altro da fare che rivolgersi a noi. Una nostra dipendente prende in carico le richieste. Che, poi, smistiamo alla Misericordia di zona. Questa, purtroppo, è la situazione attuale: chiamano persone sconosciute ai servizi sociali e che, fino a poco tempo fa, vivevano del loro lavoro. Ora, invece, non hanno più nulla. E anche alzare la cornetta del telefono per chiamare la Misericordia diventa difficile. Si vergognano, a volte. Si sentono umiliati, anche. Ma chiedere aiuto al prossimo non significa fare un torto alla propria dignità. La pandemia ha reso tutti uguali. Anche nelle difficoltà». —