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Апрель
2021

Strage di Rivarolo, prime parole del killer fuori pericolo. Arrivano le minacce in ospedale: «Gli stacchiamo la spina»

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RIVAROLO CANAVESE. Ora le attenzioni sono tutte sul San Giovanni Bosco. Dove Renzo Tarabella, 83 anni, pensionato autore della strage di Rivarolo, ha vinto la sua battaglia con la morte. O forse ha perso, definitivamente, quella con la vita. È fuori pericolo, la sua prognosi è stata sciolta. Ha persino proferito le prime parole. È in attesa di essere trasferito al repartino delle Molinette, dove sarà interrogato dal procuratore capo Giuseppe Ferrando e dalla pm Lea Lamonaca, alla presenza del suo avvocato Pio Coda e della curatrice speciale Daniela Benedino.

Nel frattempo, però, nel reparto di terapia intensiva del Giovanni Bosco sono arrivate le minacce. Due telefonate, una martedì e una mercoledì dal contenuto simile: «Stiamo venendo a staccargli la spina». L’autore ha cercato di camuffarsi con un nome falso. Tentativo goffo, perché è stato scoperto. Si tratta di un canavesano, non rivarolese, ma di un paese limitrofo. Lo hanno scoperto i carabinieri e la procura di Ivrea. Non sarebbe una persona coinvolta direttamente nel dramma, stando ai primi riscontri. Dovrà rispondere in tutta probabilità del reato di minacce.

Dopo l’autopsia eseguita dal dottor Roberto Testi sono emersi dei nuovi particolari: la strage di Rivarolo è durata quasi 24 ore. L’assassino ha ucciso sua moglie Maria Grazia Valovatto, 79 anni, e suo figlio Wilson Tarabella, di 51, tra la notte di venerdì e la mattinata di sabato. Infatti sono stati trovati entrambi nel loro letto. La donna nella camera matrimoniale che condivideva con il suo assassino, che teneva gli attrezzi ordinatissimi su un mobile. Il 51enne con una disabilità di tipo psichico nella sua camera da adolescente, dove collezionava i suoi modellini di Ferrari. Poco dopo i due omicidi Tarabella deve aver scritto il primo bigliettino: «Ho dovuto farlo grazie a questa società». Sprofondando in quello che il suo avvocato Pio Coda ha definito «un abisso di profonda disperazione, che poi è diventata follia». Allora il bigliettino, qui, potrebbe essere la virgola che divide le due frasi. Come una pausa, una cesura, un interruttore che si accende o si spegne nella mente dell’uomo.

Non sappiamo ancora se Renzo Tarabella abbia progettato oppure no l’uccisione dei coniugi Osvaldo Dighera, 74 anni, e Liliana Heidempergher, di 70. Li conosciamo come nonni felici di una nipotina di tre anni, che rincasano dopo aver lasciato la spesa sull’uscio della figlia Francesca, che abita a poche centinaia di metri da lì. Li conosciamo, pure, come unico contatto con il mondo che l’uomo ha avuto negli ultimi tre anni, in cui ha tagliato i ponti con tutti: centri diurni frequentati dal figlio disabile, parenti, colleghi, vicini. Soltanto i Dighera, proprietari di casa e amici, gli restano vicino. Osvaldo accompagna Wilson a prendere il gelato, nelle gite al Museo Egizio, gli fa assaporare ancora un po’ di mondo. Poi quando si reca in casa Tarabella per riscuotere l’affitto confida alla moglie tutto il timore per la Beretta calibro 9x21, che spesso trova in bella mostra, sul comò. Posseduta dal 1978, con una licenza a uso sportivo, per cui è necessario un rinnovo ogni 5 anni. Ora i carabinieri della compagnia di Ivrea e la procura stanno verificando se avesse tutti i certificati di idoneità psico-fisica in ordine. Ma la licenza, sicuramente, è regolare e non c’è stato alcun campanello d’allarme che abbia fatto propendere per un ritiro.

La sera di sabato 10, verso le 19.30, i Dighera portano la spesa alla figlia Francesca. Poi rincasano. Come il marito Osvaldo entri in casa Tarabella ancora non è dato sapere. Sono in corso le analisi dei tabulati telefonici, per vedere se Renzo in qualche modo lo attiri. Quel che è sicuro è che gli spara due colpi, uno alla schiena e uno in testa. E lo lascia lì, morto, in camera di Wilson, vicino l’uscio. A quel punto Liliana si allarma, perché non vede il marito. Chiama Francesca, le chiede dove possa essere il padre. Scende in cantina, incontra il vicino Baldi, gli chiede se ha visto Osvaldo. Poi, in qualche modo, anche lei entra in casa Tarabella. Renzo le spara un colpo in testa, lei si accascia sopra il marito.

La follia si è già consumata quando Tarabella scrive il secondo biglietto, che lascia in cucina vicino al primo: «I due signori hanno insultato mio figlio già morto, è giusto che abbiano pagato per quello che hanno detto».

Poi aspetta. In silenzio. Per 7 ore. Francesca chiama i carabinieri intorno alle 23. I militari che passano di fronte all’uscio della casa riferiranno di sentirsi osservati. Alla fine entrano con la scala dei pompieri. Lui si spara un colpo, si accascia vicino alla moglie. Portato via mormora: «Sono stato io». Ma il colpo entra dal mento ed esce dallo zigomo senza ledere organi vitali. Tarabella ora risponderà alla magistratura dei suoi atti. Perché anche a 83 anni, per un crimine come questo, si paga. —




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