Operatori sanitari no vax. Critiche della Cgil: «In Veneto troppa confusione»
VENEZIA. La Funzione pubblica di Cgil non ci sta e, dopo i numeri forniti nei giorni scorsi da alcuni direttori generali delle aziende sanitarie venete, che quantificavano il totale degli operatori che avevano rifiutato il vaccino contro il Covid, chiede di precisare le cifre: da un lato devono esserci i “no vax” ma, dall’altro, quanti hanno motivato il diniego con ragioni mediche serie.
«Altrimenti questi dati servono solo a creare nell’opinione pubblica l’idea che vi sia una platea di lavoratori “no vax” nelle strutture sanitarie molto più alta di quanto presente» spiega il segretario Ivan Bernini. «Certo ci sono gli operatori che, con convinzione, rifiutano il vaccino. Ma ci sono anche le lavoratrici in maternità, i lavoratori che hanno avuto determinate patologie per le quali la profilassi è sconsigliata, altri che in passato sono stati positivi».
I “no vax” (magari non proprio fino alle estreme conseguenze) ci sono: lo dimostrano i 200 operatori sanitari vaccinatisi a Venezia, subito dopo la pubblicazione del decreto legge che stabiliva il demansionamento o la sospensione dal lavoro, fino al 31 dicembre, in caso di rifiuto immotivato.
La platea è estremamente eterogenea ma, per il momento, sapere le cifre della suddivisione interna è impossibile. Spiega Bernini: «Alcuni direttori generali hanno risposto che non le conoscono nemmeno loro ed è gravissimo, perché significa che manca un database serio. È così a Venezia, dove il dg Contato ha risposto di non disporre ancora dei dati e di essere in attesa di un riscontro dalla Regione. A Treviso ha fatto un parziale dietrofront Benazzi, che però la settimana scorsa negava qualsiasi tipo di numero. Su Padova non abbiamo avuto riscontri, mentre a Belluno le cifre vengono fornite soprattutto dai direttori delle Rsa, ma con grande confusione».
L’iter che potrebbe portare al demansionamento o, quando questo non sia possibile, alla sospensione dal servizio, senza stipendio, dei sanitari “no vax” è codificato dal decreto legge Draghi, approvato il 31 marzo ed entrato in vigore il primo aprile. Entro cinque giorni da quella data, ciascun Ordine professionale ha dovuto trasmettere l’elenco dei suoi iscritti alla Regione. E già qui c’è il primo inghippo, poiché gli operatori socio-sanitari non hanno un Ordine.
«Con la sospensione dall’Ordine, i sanitari non possono decidere di farsi licenziare, andando a esercitare in libera professione con partita Iva» spiega Bernini. Ricevuti gli elenchi, la Regione ha a disposizione dieci giorni per un controllo incrociato, verificando quanti operatori non sono stati vaccinati. Scaduti i dieci giorni, gli elenchi con i nominativi dei sanitari che non hanno iniziato la profilassi saranno trasmessi all’Usl di residenza, che a sua volta chiederà agli operatori che hanno rifiutato il vaccino di produrre entro cinque giorni la documentazione che attesti l’avvenuta vaccinazione, l’effettuazione della prenotazione o che motivi il diniego. —