Gabriele Muccino sa come essere polemico. In queste settimane lo è stato via Twitter con la giuria dei David di Donatello, che verranno consegnati l’11 maggio. E ha detto la sua ricordando il film Quello che so sull’amore, che ha definito il suo peggior incubo. Impegnato sul set di A casa tutti bene, reboot del suo film trasformato in un format da otto episodi per Sky, ha parlato con GQ di cinema girato con il cellulare, della bellezza di Martina Stella in L’ultimo bacio e della possibilità di alterare digitalmente il proprio aspetto. Qui, l’inizio dell’intervista di Ilaria Ravarino: il resto è su GQ di aprile.

I cellulari, nei suoi film, fanno spesso una brutta fine. Maltrattati, percossi, scagliati a terra: i telefoni, nella filmografia di Gabriele Muccino, sono terminali elettivi di emozioni scomposte, sfogo d’ira o di passione, di rabbia o frustrazione. Non poteva dunque essere innocuo, il cellulare, neanche nel primo corto realizzato da Muccino proprio con uno smart­phone, lo Xiaomi Mi 11 5G. Un piccolo film con una storia d’amore distopica alla Black Mirror, in cui due ragazzi, Marco e Giulia (Eduardo Valdarnini lui, Elisa Visari lei), si incrociano in metropolitana e si piacciono, ignari di soffrire della stessa malattia: la convinzione di vivere in un film (da qui il titolo, Living in a Movie). Solo che quella sensazione, forse, non è un’illusione ma la realtà. «Mi sono divertito a giocare con la quarta parete. I due protagonisti la rompono, accorgendosi di ciò che gli altri non possono vedere: le camere che li pedinano e chi li riprende», racconta il regista, 54 anni a maggio. Per Muccino, al cinema l’anno scorso con Gli anni più belli e al Festival di Roma con il corto Calabria, terra mia, il video per Xiaomi è stata un’occasione per sperimentare, prima di dedicarsi alla regia della sua prima serie tv, A casa tutti bene, reboot del suo film trasformato in un format da otto episodi per Sky, con cast rinnovato e riprese tra Roma e l’Argentario. «I cellulari sono come la Nasa. Si sperimentano cose che sembrano impossibili, e che poco dopo sono parte della vita quotidiana».
Il futuro del cinema sono i film con il cellulare?
«No. La ripresa con uno smartphone come quello che ho usato io, con standard di eccellenza, è una forma altissima di cinema amatoriale. È come mettere nelle mani di un filmmaker improvvisato una telecamera tecnologicamente professionale. Ma il cellulare mi piace perché è un mezzo democratico, con cui realizzare film e corti di qualità a costo ridottissimo. E tempi molto brevi».
Ultimamente gioca col corto: perché?
«Oggi, grazie ai social e alle piattaforme digitali, il corto sta diventando una forma interessante per raccontare storie o vendere prodotti. È divulgabile, condivisibile. Non ha mai goduto di tanta popolarità. E poi ho finito di girare il mio ultimo film un anno e mezzo fa. Volevo tornare appena possibile sul set».
Il digitale sta cambiando il nostro rapporto con la bellezza?
«Sta cambiando la nostra possibilità di manipolarla, di avvicinarci al canone. Non cambia l’idea di bellezza in sé: nemmeno gli avanguardisti sono riusciti a farlo. Il nostro gusto torna sempre al classico. Piuttosto, stiamo familiarizzando con la possibilità di alterare il nostro aspetto, e illuderci che siamo quello che non siamo».
Come?
«Penso per esempio a tutto quello che ti permette di fare un’applicazione come FaceApp. È un software incredibile».
Ha giocato a invecchiarsi?
«Sì, e poi l’ho acquistato per usarlo nella serie, per i flashback. Il software non costa praticamente nulla. Fino all’anno scorso ringiovanire un attore era carissimo. Ora posso far diventare trentenni i sessantenni con un click».
La bellezza è dei giovani?
«Non è solo loro. Ma la bellezza giovane la inseguiamo ossessivamente perché è una bellezza che sfuma. E questo la rende preziosa. È la bellezza di Martina Stella in L’ultimo bacio: irresistibile perché destinata a mutare, volatile ed effimera, eppure reale. Pericolosa proprio perché non è un ideale: è vera».

Leggi l'intervista completa di Ilaria Ravarino a Gabriele Muccino sul numero di GQ di aprile

Per abbonarti alla rivista, visita questo sito

LEGGI ANCHE

«L'ultimo bacio» compie 20 anni su Netflix, 5 motivi per rivederlo in streaming\