Deborah Salvatori Rinaldi: «Lo sport è competizione, non supremazia e insulto»
«Ho iniziato presto a incontrare parole ostili, non sul campo, ma attorno a questo. Non erano le persone con cui giocavo, ma i genitori a dire: “Ti spezzo le gambe”, “Sei una femmina, vai a lavare i piatti”. Oppure la maestra che mi vedeva dedicare tanto tempo allo sport e che mi diceva che se avessi continuato così avrei fatto la commessa. Io chiedevo a mia madre cosa ci fosse di male a fare la commessa». Deborah Salvatori Rinaldi gioca in attacco in Serie A. Indossa la maglia del Milan il primo club del massimo campionato a scegliere di firmare il Manifesto della comunicazione non ostile per lo sport, ideato dall’Associazione Parole O_Stili.
Sono dieci principi di stile a cui ispirarsi per mostrare i valori nobili dello sport, così da evitare un linguaggio ostile nel tifo e nella comunicazione. Sono stati atleti, tecnici, esperti di sport a portare i principi del linguaggio non ostile nel loro mondo. «Si va dalla correttezza al rispetto perché nello sport non esistono nemici, solo avversari», spiega Rosy Russo, presidente dell’associazione, «un altro punto è l’allenarsi ad ascoltare l’allenatore come l’avversario, la lode come la critica. L’obiettivo è sempre lavorare sulla consapevolezza delle persone affinché si rendano conto di quello che stanno dicendo o facendo. I ragazzi e i tifosi hanno bisogno di vedere esempi positivi, di sapere che i loro giocatori seguono questi valori».
Deborah Salvatori Rinaldi e le sue colleghe calciatrici sono esempio di questo. «Non è una sensazione», dice, «è realtà che nel calcio femminile, rispetto al maschile ci sia molto più fair play, molto più rispetto. È vero che più persone coinvolgi più è possibile che vengano fuori insulti e un po’ è successo a noi passando dall’essere sport di nicchia a giocare derby di Serie A. Un po’ però tutte ci portiamo dietro la battaglia che abbiamo affrontato: abbiamo fatto un percorso al buio, era inimmaginabile pensare di arrivare dove siamo. Noi sappiamo che lo sport è competizione agonistica che è il contrario di supremazia e insulto».
Lei, alle parole ostili sui social, risponde con il silenzio. «Non commento. La cosa bella è che ci sono tante altre persone che ci difendono con i loro commenti». Tante persone andavano anche a vedere le partite prima della pandemia. Il Covid le ha per forza allontanate. «È come se ci avessero tolto l’ultimo boccone. Eravamo abituate ad avere poco pubblico. Siamo arrivate a riempire gli stadi e a portarci dietro i nostri tifosi. La pandemia ci ha portato indietro. Chi si è appassionato al femminile continua a seguirci, ma il pubblico manca. Lo sport è anche far divertire gli altri. Nessuno gioca solo per se stesso».
Sa di essere un esempio. «Adesso la ragazzina vede un’icona e cerca di copiarla. Noi non avevamo punti di rifermento. Tante volte ci siamo chieste perché continuavamo a farlo. Il mio idolo era Pavel Nedved, perché sapevo che si allenava tantissimo. Abbiamo grandissimi campioni italiani come Totti e Maldini che sono modello di umiltà, sacrificio, attaccamento alla maglia, rispetto del pubblico».
Sono i principi del manifesto, insieme a un altro valore che l’attaccante rossonera è fondamentale. «Io amo lo sport perché abbatte le differenze, porta uguaglianza. Sul campo pensi solo a giocare. Io ho affrontato tanti sacrifici, ma devo ringraziare quei ragazzini con cui ho giocato, che mi hanno accolto e stimato. È una palestra di vita esagerata».