Ariete: «Una canzone per lei»
Questo articolo è pubblicato sul numero 16 di Vanity Fair in edicola fino al 20 aprile 2021
E quante volte ci siam lasciate? /E quante volte ti ho detto basta /Solo a parole / Non in sostanza.
Amianto è una canzone d’amore scritta da lei per lei. E lei ha diciannove anni e si chiama Arianna del Giaccio, in arte Ariete. Come il segno zodiacale e come le capocciate (cresciuta ad Anzio, papà giornalista e mamma sociologa, direbbe proprio così) che tira alle frasi fatte delle canzoni, quell’obbligatorio rivolgersi all’altro sesso che è diventato convenzione stonata anche quando l’amore ha un’altra direzione.
Piccole piccole siamo piccole dentro la stanza / Sento qualche cosa che mi manca…
La prima volta che ho sentito Pillole, un’altra delle sue «canzoni per lei» da 60 milioni di streaming sulle piattaforme, ho provato una tenerezza sconfinata. Un’amica di quarant’anni alle prese col primo amore omosessuale la ascoltava in loop e si commuoveva. Le ragazzine, spontanee e spudorate in giro per mano anche nei paesini remoti, se la sussurravano attraverso i telefonini. Lei intanto finiva in lockdown e preparava il primo album previsto dopo l’estate. Toglieva l’apparecchio per i denti. Andava a vivere da sola a Roma. Studiava per la maturità del prossimo giugno. Girava il video di Mille guerre con l’attrice Jenny De Nucci. Tenendole la mano.
Mia figlia e la sua fidanzata mi hanno detto: la amiamo perché Ariete è una «sottona». Cosa significa?
«È una roba bella. Sei “sottona” quando ti piace una ragazza e faresti di tutto, ci pensi ventiquattr’ore su ventiquattro, lei è distaccata ma tu vai avanti lo stesso, piangi con le amiche e vai a scuola soltanto per vederla. Insomma, una cosa tremenda, ma da rivendicare».
E alla fine la sottona lascia o viene lasciata?
«Alla fine lascio sempre io, sono una sottona realista. Che però è attratta dalle relazioni tossiche: sai che una cosa finirà male e vuoi che vada così. Ti dici: Arianna, che voi fa’, te ne privi? E ci vai dentro con tutta la faccia».
Tra ragazzini, definire il proprio orientamento è obbligatorio oppure è tutto fluido e accolto?
«Io parlo con pronomi femminili per cui la gente capisce. Sui social, e in particolare TikTok, si usa una domanda convenzionale: “Ascolti Girl in Red?” (Girl in Red è una musicista gay, ndr). Se rispondi sì, vuol dire che sei lesbica. E lo stesso ormai fanno con me: “Ascolti Ariete?”, chiedono. E la risposta rivela la tua tendenza».
Non la sconvolge che le canzoni d’amore, anche nei casi più evidenti, non abbiano mai usato l’analisi logica omosessuale?
«Io sono sempre stata trasparente, ma altri prima di me non se la sono sentita di pagare un certo prezzo: Tiziano Ferro, se avesse parlato al maschile, forse non avrebbe riempito gli stadi. Ma io non ho voluto mentire. E per paradosso, ora mi accusano di lucrarci sopra, per avere successo. Pensa te quanto è assurdo il mondo».
Sul tema del coming out, Ferro scrisse un libro drammatico: Trent’anni e una chiacchierata con papà. Lei ha dovuto affrontare questo passaggio?
«Per me è stato tutto naturale. Ho avuto la prima ragazza a quindici anni grazie a Twitter, che era il meet-up delle ragazze. Si usava l’hashtag #lesbiansquad e facevi i primi incontri. Il primo amore stava a Messina. Ho detto ai miei: ho la fidanzata in Sicilia, mi comprate il biglietto? E sono partita».
Ha anche una sorella più piccola, Gaia, che ora si chiama Gianmarco.
«Lo stimo, è la persona più onesta che conosco. Ha iniziato il suo percorso da piccolo e ne ha parlato subito coi miei, che lo stanno accompagnando nella transizione. Ha un nuovo nome, sta bene e a scuola è stato accolto con tenerezza. Tutti tranquilli. A parte qualche parente più tradizionalista che ancora non sa nulla».
In un brano dice: «Siamo cresciuti per bene ma stiamo sempre male /E non c’è nessuno che sa il perché». È un verso privato o generazionale?
«Entrambe le cose. I ragazzi stanno peggio che in passato, soprattutto a causa dei social che rovinano la vita di tanti di noi, che si uccidono di fronte a modelli assurdi o davanti a commenti violenti. Penso alla trapper Anna Pepe per esempio, che ha le forme accentuate e subisce attacchi allucinanti. Per non parlare di anoressia e bulimia, che sono ovunque. I social ci stanno rovinando la salute mentale».
Il bullismo e la discriminazione le ha provate?
«Di rado. Sulla metropolitana, con la mia ragazza sulle ginocchia e la signora di turno che ti invita “a fare certe cose a casa propria”. Poi, qualche mese fa, dopo un invito a Radio 105: “Dovrebbe usare la bocca per cantare meno e far più p….”, ha commentato un tizio. Espressioni dell’italiano etero medio. Categoria ancora tutta da sensibilizzare».
L’amore tra donne è migliore? È sempre più dolce?
«Per me è così: baciarsi, capirsi, è tutto diverso. Dopo tre anni di esperienze di qualsiasi tipo lo posso dire: stare con un ragazzo è come bere una tazza di latte. Ma con una ragazza è come se nel latte ci fosse sempre il miele. Dirsi “ho il ciclo” e sentirsi rispondere “a me arriva domani”. Aiutarsi nelle cose, farsi i capelli. C’è più feeling».
In Quello che le donne non dicono Fiorella Mannoia dice: «Portaci delle rose / Nuove cose / E ti diremo ancora un altro sì». È un verso che capisce o le mette i brividi?
«Il concetto sembra essere “più mi dai e più ti do’’: parecchio regressivo. Io sono indipendente: se mi fai un gesto galante ti dico che carino, grazie. Se non lo fai amen, non cambi certo i miei piani».
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