Stato e politica in crisi perchè non sanno rispondere alla sfida dei cambiamenti
La pandemia ha accelerato il processo, ma la crisi delle istituzioni era già in atto da tempo, frutto di una trasformazione che vede il passaggio dall’era dei territori a quella della Rete e dei social. Gli Stati sono a un passo dall’estinzione, ma la mutazione non deve spaventare: mai come in questo momento i cittadini hanno il potere di determinare il proprio destino, se sapranno cogliere le sfide di un cambiamento epocale. Su questo si basa “Statosauri - Guida alla democrazia nell’era delle piattaforme” (Quinto Quarto Edizioni”, in uscita il 21 aprile), il libro del giornalista Massimo Russo, già condirettore de La Stampa e direttore digital del Gruppo Gedi, oggi alla guida del magazine “Esquire”.
Russo, negli “higlights” del libro lei scrive che i pilastri su cui si fondano gli Stati nazionali - popolo, sovranità e territorio - sono caduti: il popolo è diventato populismo, la sovranità sovranismo e le piattaforme, con il digitale, hanno polverizzato il concetto di territorio. Dunque gli Stati sono obsoleti, o addirittura non hanno più motivo di esistere?
«Sono obsoleti, sì, il che non significa che dobbiamo farne a meno. Ma il loro ruolo di intermediari che aiutano a gestire la complessità per garantire diritti e doveri ai cittadini è stato messo in crisi dalle trasformazioni. Del resto da cosa nasce il populismo, il sovranismo? Dal fatto che il popolo non vede più nei propri rappresentanti persone che possano prendere decisioni e governare la complessità. Gli Statosauri sono oggi una tecnologia sociale espressione di una cultura superata e incapace di integrare Big Data, intelligenza artificiale, connessione permanente, e di confrontarsi con soggetti economici privati che valgono in borsa quanto la ricchezza prodotta dai Paesi più ricchi del pianeta».
Lei sostiene che a trovarsi nella condizione migliore per edificare un neoumanesimo per l’era delle piattaforme è l’Europa.
«Paradossalmente sì. Se guardiamo alle evidenze quotidiane questa affermazione sembra una follia, però... Abbiamo da un lato la Cina che è già pienamente nella contemporaneità, ma al prezzo di essere un’autocrazia tecnologica (le piattaforme sono il governo e il governo sono le piattaforme) e dall’altro gli Usa, dove di fatto l’agenda delle grandi piattaforme è diventata quella del governo. Pensate all’effetto che avrebbe una Ue capace di una rivoluzione “copernicana” rispetto all’utilizzo dei dati, forse la più grande occasione di ricchezza della contemporaneità. Cosa potrebbe accadere se dicesse a Amazon, Facebook, Google «da domani potete offrire i vostri servizi in Europa a patto che i dati generati da queste interazioni non siano più di vostra proprietà ma siano a disposizione di tutti per creare nuova ricchezza?». E poi l’Europa ha la possibilità di diventare la più grande piattaforma di diritti civili mentre il mondo sembra andare nella direzione opposta, di trasformare l’Unione in uno spazio globale di responsabilità, eguaglianza di opportunità e promozione delle diversità».
E in questo quadro quali possibilità ha il nostro Paese?
«Siamo un Paese anziano, schiacciato dal debito, da una spesa inefficiente, una produttività stagnante, un ritardo tecnologico pesantissimo, ma le cose possono cambiare se ribaltiamo sistematicamente l’approccio alle sfide. E possiamo farlo, con ingenuità - che non è dabbenaggine - e lungimiranza. Volendo applicare questo ribaltamento di approccio a un caso specifico, si pensi alla nostra posizione nel Mediterraneo, che ci pone al centro di flussi migratori destinati ad aumentare vertiginosamente, E immaginiamo come potremmo servire queste persone e come trarne a nostra volta beneficio, reciproca prosperità».
Ma in un momento storico nel quale le conoscenze digitali sembrano essere l’ unica cosa che può rimettere in moto ascensore sociale, il singolo individuo - per altro smarrito - cosa può fare?
«Intanto uscire dalla paura, ed è faticoso, perché significa esercitare la propria libertà. La rete chiede a ognuno di noi di essere all’altezza della sfida, di portare il proprio contributo di conoscenza, di coscienza all’intelligenza collettiva, per essere componenti produttivi di un meccanismo democratico».