L’arte di Maria Teresa De Zorzi: da una stamperia di Udine a Parigi
Maria Teresa De Zorzi, spentasi novantenne a Marina di Carrara nell’autunno scorso, merita un ricordo perché fu pittrice, titolare a Udine di una stamperia per la grafica, e animatrice culturale, dapprima nel Cfap (Centro friulano arti plastiche), poi nel Dars (Donna, arte, ricerca, sperimentazione), da lei fondato con Dora Bassi e Isabella Deganis, e nell’austriaco “Septembergruppe”, che si riformava ogni anno, alla fine dell’estate, per una mostra collettiva sul Lago di Wörth.
Allieva di Fred Pittino a Udine, di Antonio Mazzotti a Bologna, esordì con una mostra personale nella Galleria “La Scaletta” a Porto Sant’Elpidio nel 1973. Nel frattempo era rimasta affascinata dalla grafica visitando a Saciletto il centro internazionale fondato e diretto dal pittore triestino Federico Righi, dal quale apprese i segreti del mestiere. Nel 1971 decise di aprire la stamperia “La Zebra” in via Gorizia a Udine, e con il torchio acquistato dallo stesso Righi produsse preziose incisioni: le maternità di Tubaro, le nature morte e i paesaggi rustici di Pittino, i gioielli e le scomposizioni della sfera di Ceschia, gli scabri paesaggi carsici di Poian, i gabbiani di Supan, le geometriche invenzioni di Colò, e opere da lei stessa create. Ma poi la pittura prevalse e la stamperia chiuse i battenti nel 1974.
Avendo sposato un rappresentante del Gotha industriale del Friuli, titolare delle Concerie Cogolo di Zugliano, l’arte non fu per lei soltanto un aristocratico “otium” ma un impegno morale: prendendo avvio dal leit-motiv delle tende, oggetti dal valore simbolico, si addentrò nell’astrazione privilegiando la serialità e i giochi di colore, realizzati con raffinata sensibilità. Creò in tal modo uno stile personale, che ottenne favorevoli commenti da illustri critici: Montenero, Solmi, Perissinotto, Caramel... e l’amato figlio Alessandro, precocemente scomparso. Ma per le mostre del Dars seppe creare anche efficacissime installazioni, che vivono ormai soltanto in fotografia: L’altalena meccanica, Matrimonio dietro le sbarre e La bocca di Zenobia.
Si era fatta, con frequentazioni di colleghi e visite a musei e gallerie in Italia e nel mondo, anche una vasta cultura artistica, indispensabile per l’autoanalisi, oltre che per il personale godimento delle opere altrui; e talvolta volle immergersi nei luoghi fisici delle avanguardie, come negli anni 80 a New York, dove, scrive Fabio Benzi, modulò alcune opere «sui ritmi dello skyline cittadino». Fino al Duemila si infittirono le mostre personali (da Udine a Palm Beach in Florida, da Venezia a Parigi, da Macerata a Fabriano, da Biarritz a Lubiana...) e le collettive con il Cfap o con il Dars. Poi, nel nuovo secolo, lasciò la natia Udine per ritirarsi accanto alla figlia Lina, che le prestò amorosa assistenza fino alla fine.
Nel 2011 il Cfap, nel quale aveva occupato anche la carica di segretario dal 1995 al 2000, la ricordò esponendo un paio delle sue opere nella grande mostra del cinquantenario a Villa Manin, riprodotte nel sontuoso catalogo curato da Giuseppe Bergamini.
A conclusione proponiamo le ultime parole di Fabio Benzi, che sintetizzò l’esperienza artistica della pittrice intitolando “Lo spazio dell’astrazione” la monografia del 1989: «Nella ricchezza e molteplicità spesso vuota dei linguaggi artistici attuali, la voce solista di Maria Teresa De Zorzi ha certo un suo ruolo di coerente ricerca e di distillata qualità, un valore indubbio di testimonianza artistica tesa e appassionata, che resisterà al tempo delle mode».