Almeno non perdiamo la memoria
REGGIO EMILIA. Un giorno forse avremo la verità. Per ora non perdiamo la memoria. Perché quei sette morti della provincia di Reggio Emilia, consumati dalle fiamme del Moby Prince, non spariscano anche dalle nostre coscienze.
Pochi giorni fa li abbiamo ricordati su queste pagine, a trent’anni da una delle tante tragedie italiane per le quali nelle mani si stringono solo dubbi e poche certezze, in un Paese che ci ha abituato a fare spesso i conti con indagini deviate, silenzi e fantasie contorte ai limiti dell’umana intelligenza. Li abbiamo ricordati per alimentare una naturale richiesta di giustizia. E perché quei sette nomi non spariscano dalla memoria collettiva per altri cinque o dieci anni e ripescati per santificare i soliti copioni celebrativi fatti di cerimonie, fiori e inevitabili dosi di lacrimevole retorica. Quelli servono, ma ci vuole anche altro.
La verità appunto, anche se tra i parenti di quei sette innocenti, c’è chi si è rassegnato a non credere più alla verità degli uomini, preferendo il conforto dei ricordi. Resteremo in attesa. Intanto possiamo però chiedere che quei sette non vengano inghiottiti un’altra volta nei fondali freddi dell’oblio. In città non c’è nulla che li ricordi. Eppure nei decenni la politica si è dibattuta su come lasciare tracce di storie a volte distanti migliaia di chilometri da noi. Celebriamo di tutto, a volte giustamente altre meno.
Ma ci siamo dimenticati, almeno nella forma, di loro. Si chiamavano Aldo, Maria, Monica, Umberto, Alessia, Maria Rosa e Giuliano. Non hanno una targa, una lapide, non hanno una via che li ricordi. Trent’anni dopo è tempo per noi di rimediare. Il nostro è un appello. Non servirà alla verità e neppure a sollevare quelle nebbie sospette che qualcuno ha voluto far scendere sulla disgrazia. Servirà però a tenere viva la memoria di tutti loro e a chiarire che Reggio non può dimenticare. Non vuole.