Sì, certo, c’è la ’ndrangheta, anche qui in Toscana. Ora lo sanno tutti, perché un’indagine della Direzione distrettuale antimafia ha scoperchiato un pentolone pieno di veleni che vanno oltre a quelli dei fanghi tossici delle concerie. Ma sarebbe un errore fermarsi alla superficie della storia. Le cose che fanno paura non sono solo quelle che si vedono o si sanno. Anche perché quando arriva il momento di scoprirle non è che siano appena arrivate. Il più delle volte sono lì da anni, da decenni, senza che i più se ne siano accorti. Oggi dovremmo chiedere conto a tutti quelli che avrebbero dovuto vigilare e non lo hanno fatto, in qualche caso spalancando le porte al peggio, in altri tenendole aperte senza preoccuparsi di chi stesse entrando nelle nostre case comuni chiamate Istituzioni e Sistema economico.
Non si tratta di tentare di anticipare sentenze su possibili processi dopo la bufera che ha investito la Regione e il partito di maggioranza relativa, il Pd, a causa di un’ondata di indagati per un giro (per ora presunto) di malaffare legato allo smaltimento dei fanghi delle concerie. E, soprattutto, di (sempre presunti) appoggi elettorali in cambio di favori (ancora presunti) per aggirare la burocratija e risparmiare decine di milioni di euro. Questo è compito esclusivo della magistratura.
Quello che tutti dovremmo fare è invece riflettere su ciò che si staglia sullo sfondo. E che ha un valore pesante nella pretesa di un domani migliore, a prescindere dall’innocenza o meno di tutti gli indagati.
Questo valore si chiama etica ed è la base per rifondare fin da subito il rapporto fra politica e istituzioni da una parte e mondo dell’imprenditoria e degli affari dall’altra.
Dalle carte emerge una confidenza, una commistione inaccettabile, che va oltre gli effetti di quelle azioni. Emerge chiara l’esistenza di una Congrega delle scorciatoie, pronta a finanziare campagne elettorali di presunti vincitori. E anche di chi quasi sicuramente perderà (perché non si sa mai...), di lobby pronte a perorare interessi particolari a danno di quelli più generali. Ai più sfugge che quei 28 milioni risparmiati dal Sistema concerie (se l’accusa sarà dimostrata) sono sottratti in gran parte a un flusso che sarebbe finito in pubbliche risorse. Soldi di tutti.
Così come è di tutti l’ambiente sfregiato da materiali inquinanti sversati in spregio alla salute pubblica. Uno schiaffo anche alle parti sane del distretto conciario che producono lavoro e ricchezza ridistribuite sul territorio. Un’eccellenza mondiale, calamita per tutte le griffe più prestigiose.
Emerge la stortura di un apparato, di una burocratija pubblica, che appare fregarsene di lacci e lacciuoli. Se un sindaco, un presidente di Regione non può farsi eleggere per più di due mandati consecutivi, questo accade per impedire la nascita di piccoli ducetti di periferia. Ma se accettiamo questo principio per la politica, perché non siamo stati capaci di impedire che uno come Ledo Gori abbia potuto restare per venti anni e passa alla guida della macchina della Regione Toscana? Nulla di personale contro Gori, anche gli esponenti delle minoranze lo considerano un gentiluomo, ma dovremmo cominciare a pensare che nessuno possa detenere un potere di gestione così a lungo. E che nessun “sistema” di aggiramento delle regole – come quello messo in piedi per le concerie – possa pensare di “spingere” per far restare dove è il Gori di turno, in un posto dove si pensa che possa essere una garanzia di favori e scorciatoie. Questo, ripetiamolo, al di là delle reali responsabilità di Gori nel giro di favoritismi per lo smaltimento irregolare dei fanghi. Di Gori e anche dei politici messi in difficoltà da questa inchiesta: emendamenti e leggi approvate di soppiatto fanno venire più di un sospetto di scorciatoie mefitiche o di pesanti sciatterie.
I primi a incazzarsi dovrebbero essere gli altri che fanno politica per spirito di servizio, per due spiccioli e tanti sacrifici. E che invece tacciono o si agitano ben poco, perché sanno benissimo che questa purtroppo è pratica comune in ogni schieramento. Di pochi, certo, ma di pratica comune purtroppo si tratta.
E, già che ci siamo, dovremmo cominciare seriamente a riflettere su quello che è stato un grave errore di ipnosi collettiva: l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Oggi le forze politiche, tutte, non hanno altre strade che cercare soldi sul “mercato”. Ed è chiaro che, pur nella massima trasparenza di operazioni di finanziamento, poi chi paga possa arrivare a “pretendere”.
Siamo sicuri che sia la cosa migliore? In questo modo negli Stati Uniti non c’è alcuna speranza di sconfiggere le lobby delle armi e del tabacco. Foraggiano tutti, Democratici e Repubblicani, perché hanno risorse infinite. E qui da noi risorse infinite le hanno a disposizione i grandi gruppi industriali e finanziari. E anche le grandi organizzazioni criminali. “Non ci indurre in tentazione” oggi può essere frase buona solo per il Padre Nostro, perché ormai è solo un’inutile invocazione. Le tentazioni, purtroppo, sono le fondamenta di Sistemi di potere marci.
E, peggio ancora, le commistioni diventano consuetudine. Un esempio drammatico è quello rappresentato dalla recente bufera giudiziaria che ha investito un piccolo comune della riviera etrusca, San Vincenzo, con il sindaco (ancora Pd) finito in un brutto giro di corruzione (ancora presunta) e arrestato (domiciliari) per via di un finanziamento elettorale messo in piedi attraverso fatturazioni di lavori mai eseguiti. Dietro le quinte emergono intrecci fra controllori e controllati, politica urbanistica da operetta e una cassetta di sicurezza in compartecipazione fra il tesoriere del Pd e un imprenditore. Cassetta che non c’entra con quell’inchiesta, va detto, e che però fa venire più di un dubbio. Magari è solo la copertura di un’evasione fiscale, o il favore a un amico che non può tenere i soldi in banca, ma è sempre cosa poco profumata.
Quello delle commistioni, purtroppo, è un problema che viene da lontano. Prendo lo spunto da una storia degli anni ’90, quando lavoravo lontano dalla Toscana. Riguarda un parlamentare dell’allora Pds e una compagnia di navigazione oggi in grave difficoltà finanziaria. Quella compagnia, che allora operava per lo più fra Piombino e l’Elba, era finita nel mirino del deputato per via di qualche operazione di carico disinvolta nei garage delle navi. Si narrava di qualche pullman per metà sulla passerella di poppa mezza abbassata. Roba finita in interrogazioni parlamentari e poi, all’improvviso, sparita dallo scenario. Nel frattempo, tornato da queste parti per le vacanze, mi era capitato di fare due passi alla Festa dell’Unità di Piombino e di veder comparire uno stand (a pagamento) di quella compagnia di navigazione. Per carità, tutto lecito e tutto fatturato. Nulla di illegale. Però in quel periodo stava cominciando a morire l’etica nella cosa pubblica. Ovviamente non solo in Toscana, perché la politica sponsorizzata non potrà mai essere credibile fino in fondo. E, dunque, se adesso siamo nella melma dei fanghi – e non solo di quelli – è perché abbiamo considerato normali troppe cose che adesso mandano un odore peggiore di quello dei veleni che tanto piacciono alla ’ndrangheta.
Certo, le cosche fanno paura. Ma non sono l’unica cosa brutta. —
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