Il Serra era bruciato e loro volevano buttarci i veleni delle concerie: il piano svelato dalla maxi-inchiesta
PISA. È il 27 settembre 2018, sono passati pochi giorni dall’incendio che ha oltraggiato il monte Serra, nel Pisano, incenerendo 600 ettari di bosco. Gli investigatori sono sulle tracce di chi ha appiccato il rogo e già c’è chi, con la cenere ancora calda, pensa di cogliere l’occasione per “un bel ritorno di immagine”. Un’operazione di puro “greenwashing” – ambientalismo di facciata – che, se fosse andata in porto, avrebbe aggiunto sale alla ferita.
Al telefono Piero Maccanti, allora direttore dell’Associazione Conciatori di Santa Croce, racconta ad Aldo Gliozzi, vicedirettore, un’idea che gli hanno suggerito dal Consorzio Sgs, che si occupa di smaltire i rifiuti conciari di natura animale: «Adottare diecimila olivi» da piantare sul Serra e mandare anche il fertilizzante. Sarebbe un doppio colpo: pubblicità a basso costo e concime in uscita dall’impianto di Sgs piazzato. Peccato che i fertilizzanti suggeriti dall’uomo di Sgs siano pieni di cromo esavalente e idrocarburi. E, come il Keu (le ceneri da combustione dei fanghi conciari), venissero dalle Concerie.
È un punto di snodo, morale e investigativo, che unisce due inchieste: la Blu Mais, che risale al 2020, e la Keu, con arresti e indagini degli ultimi giorni per le infiltrazioni della ’ndrangheta in Toscana. Il punto che le accomuna sono gli scarti delle lavorazioni delle concerie di Santa Croce. Nel caso di Blu Mais, con quattro arresti lo scorso anno e due prodotti di scarto di lavorazione, il Natifer e il Carbocal, venduti e utilizzati come fertilizzanti e poi messi sotto accusa perché inquinanti. Sono il risultato della lavorazione di carnicci e residui di rasature. Nell’inchiesta degli ultimi giorni il Keu, la polvere finale ottenuta dall’incenerimento dei fanghi di conceria, che mischiata a materiale inerte viene venduta come materia per i cantieri edili. Concerie, scarti. Veleno sulla terra.
A scoperchiare il marcio nascosto, sepolto sottoterra, è in entrambi i casi la Direzione distrettuale antimafia di Firenze.
Nel caso di Blu Mais, accusano i magistrati, sarebbero state sversate 24mila tonnellate di fertilizzanti, in realtà inquinanti, su 150 ettari delle campagne fiorentine e pisane; nel caso di Keu, i fanghi mischiati a materiali di uso edilizio finiscono nei cantieri delle strade regionali, in quelli edilizi, persino dell’aeroporto militare di Pisa.
Il problema è che, siano essi fertilizzanti, siano essi fanghi, andrebbero trattati come rifiuti speciali. Sono contaminanti, pieni di cromo esavalente (sostanza cancerogena) e idrocarburi. Se entrano in contatto con il suolo e la falda acquifera la inquinano.
Facciamo un passo indietro e torniamo al 2018. Luglio: sul Serra uomini, animali e piante dormo ancora sonni tranquilli. L’inchiesta Keu è già partita, ma nessuno degli indagati probabilmente sospetta nulla. Il dipartimento Arpat di Pisa trasmette alla Regione e al Consorzio Aquarno le valutazioni sullo stabilimento ex Ecoespanso, controllato da quest’ultima società e che tratta un sottoprodotto della lavorazione conciaria. Ci sono criticità, in particolare sui fanghi: il Keu.
Gli investigatori dei carabinieri ascoltano una telefonata tra Alessandro Francioni, presidente dell’Associazione conciatori e Nicola Andreanini, direttore settore trattamento acque di Aquarno. Francioni, scrivono gli investigatori, fa presente di «avere pronte più soluzioni per lo smaltimento del Keu». «Per evitare di fare la fine del topo», lo sentono dire. Il topo, si chiarirà nel corso della conversazione, è in senso figurato Renato Rosini, imprenditore agricolo che sarebbe finito nell’inchiesta Blu Mais due anni dopo. E già allora sotto indagine per il procedimento che coinvolgeva il Consorzio Sgs per la diffusione dei fertilizzanti Natifer e Carbocal nei campi toscani.
Per gli inquirenti è una conversazione significativa. Secondo loro infatti «l’ oggetto della conversazione era l’individuazione di una strategia a lungo termine per utilizzare il Keu, mentre il cenno a Rosini mostrava che i due interlocutori erano perfettamente consapevoli dell’illeicità delle iniziative che si sforzavano di ipotizzare».
Passano due mesi e in una notte calda, ventosissima, il Serra viene incendiato. E consumato in gran parte. Eppure, in una telefonata che ha echi sinistri delle risate degli imprenditori dopo il sisma dell’Aquila, c’è chi pensa sia un’occasione di affari. Siamo tornati al nostro punto di partenza, il 27 settembre. Sul Serra il vento è calato, ma non si è ancora posato. Un manto grigio, polveroso, copre il verde del monte. Il monte degli Olivi. Quanto costa un olivo?
Al telefono Maccanti dettaglia al suo vicedirettore Gliozzi l’idea di Giancarlo Bernini, del Consorzio Sgs. Gli olivi costano 1,5 euro l’uno. Si può ipotizzare un acquisto importante a «un costo contenuto», si legge nelle carte dell’inchiesta. Diecimila, massimo quindicimila euro di spesa per «un bel ritorno di immagine». E, scrivono gli investigatori, «un modo per impiegare le sostanze offerte come fertillizante». Quei Natifer e Carbocal che, come denunciano gli agricoltori locali dal 2013, fanno diventare i campi blu. Due anni, con l’inchiesta Blu Mais, in quattro finiranno in carcere: un colpo esiziale per il Consorzio Sgs, con un sequestro da oltre tre milioni e la successiva messa in liquidazione. E nella telefonata del 27 settembre si guardava più in là, alla politica: l’operazione era utile anche perché «avrebbe sensibilizzato Enrico Rossi, presidente della Regione e originario di Bientina, paese vicino a quelli colpiti dall’incendio». Un’idea che andava «buttata là». Tra le ceneri del Serra. —
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