Le riaperture, una scommessa su noi stessi

MANTOVA. L’accelerata data da Draghi al cronoprogranna delle riaperture dopo la clausura invernale e di inizio primavera viene spiegata con la percezione da parte del presidente del Consiglio delle tensioni sociali serpeggianti nel Paese. Le piazze affollate dalle prime proteste, gli umori diffusi e non sempre nascosti, le pressioni delle categorie economiche: la resistenza al Covid e ai suoi effetti economici e psicologici mostra la corda facendo temere ricadute ancora più pesanti sulla tenuta del tessuto Italia.

Poco importa che la virata segni anche la conferma che non di un algido supertecnico a palazzo Chigi si tratti, ma di un politico forse nato, forse forgiatosi pur frequentando per una vita altre stanze: importa che nello stesso giorno in cui Merkel ricorda alla Germania la gravità persistente del momento, allontanando ogni illusione, l’Italia scommette su un passo avanti progressivo ma risoluto. Che significa, al di là dei singoli provvedimenti, degli obblighi come delle libertà vigilate del prossimo futuro, che siamo chiamati a scommettere su noi stessi.

Ognuno di noi di fronte alla pandemia ha sviluppato in questo anno e mezzo un atteggiamento, una sfera di comportamenti una riflessione o una reazione differente: ha condiviso o subito le scelte di chi ci governa, ne discute l’efficacia e l’opportunità, a ragione più o meno veduta, sulla base di conoscenze comunque limitate ma anche di esperienze dirette e ineliminabili.

Ora l’errore, ancora, sarebbe scambiare questa prospettiva di ripartenza con un liberi tutti nei comportamenti individuali e nella rincorsa a riappropriarsi in qualche modo di tutto ciò che ci è stato sottratto in questo tempo malato. Più facile trovare un compromesso fra due ministri che armonizzare il nostro animo e i nostri gesti alla realtà ancora sofferente e tappezzata di rischi: ma lì, nel nostro equilibrio possibile, sta la nostra speranza. Di uscirne e di uscirne davvero, almeno un po’, diversi da come eravamo.