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Апрель
2021

Si è inceppata la corrente del Golfo

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La calotta polare artica si scioglie al ritmo impressionante di un milione di tonnellate al minuto. La colpa? Si è «interrotto» il grande flusso oceanico dal Golfo del Messico. Significa inverni glaciali nel Nord Europa e ondate torride altrove.


La calotta polare artica si scioglie al ritmo impressionante di un milione di tonnellate al minuto. Nella sua spirale di disfacimento, riversa in mare intere distese di ghiaccio. La sparizione totale della sua coltre bianca durante il periodo estivo è prevista entro il 2036. E non sarà senza conseguenze per l'equilibrio della Terra.

Quanto un articolo su Science aveva paventato nel 2005, è ora divenuto realtà. Mettendo insieme misurazioni e ricerche degli ultimi anni, scienziati del Postdam Institute for climate impact research hanno concluso su Nature Geoscience che il ritmo attuale di scioglimento sta sconvolgendo la circolazione delle correnti di acqua nell'Atlantico, per cui Gran Bretagna, Islanda e regioni limitrofe avranno inverni più rigidi mentre in Europa centro-sud, in primavera-estate, lunghi periodi di siccità.

Spiega Stefan Rahmstorf, uno degli autori della ricerca: «A causa della grande quantità di acqua dolce che si riversa nel mar Glaciale artico, si sta "inceppando" la Corrente del Golfo: un enorme nastro trasportatore di acqua calda dal Golfo del Messico verso nord-est e di acqua fredda e bassa salinità verso sud. Muove 20 milioni di metri cubi di acqua per secondo, più di 100 volte l'intero rio delle Amazzoni. Così facendo, influenza il clima del pianeta: normalmente porta inverni più miti in Irlanda, Gran Bretagna, Islanda rispetto a quelli sperimentati in regioni su simili latitudini nel Nord America. Se viene perturbata, il clima di queste regioni ne risulta sconvolto».

Per capire meglio quanto sta avvenendo bisogna pensare che nella fascia subtropicale, e nel golfo del Messico in particolare - un'area quasi chiusa - l'acqua del mare si riscalda fino a temperature elevate. Essendo più calde, le acque marine superficiali si muovono in direzione nord est, spinte dalla cosiddetta forza di Coriolis generata dalla rotazione terrestre, fino a lambire le coste della Norvegia. Durante il viaggio, la massa liquida evapora (rendendo piovose Irlanda e Gran Bretagna) e diventa sempre più salata e densa. Giunte ad alte latitudini, è abbastanza pesante da sprofondare verso il fondo e tornare a circolare in direzione contraria, verso il punto di partenza.

Se però, a causa dello scioglimento accelerato dei ghiacci nel mar glaciale Artico, si riversano in mare grandi quantità di acqua dolce, la salinità si riduce ad alte latitudini e il fenomeno non può avvenire con la stessa meccanicità. Ciò significa minore evaporazione e minore calore trasportato verso l'Atlantico settentrionale; dunque inverni più rigidi in Irlanda, Gran Bretagna, Islanda e coste norvegesi, e periodi torridi in Europa nei mesi primaverili ed estivi.

Rahmstorf e i suoi colleghi dicono che al momento la Corrente del Golfo si è ridotta di circa il 15 per cento rispetto alla metà del 20° secolo. Prevedono che, se l'aumento di anidride carbonica in atmosfera perdurerà, con l'aggravarsi dell'effetto serra, il flusso imponente si ridurrà dal 35 al 45 per cento, fino a raggiungere una soglia tale da generare instabilità climatiche ancora più marcate.

Una conferma di queste tesi arriva da una ricerca pubblicata su Atmosphere che chiarisce un'anomalia: i piccoli ghiacciai di alta quota delle Alpi Giulie invece di scomparire sono stabili da 15 anni. La squadra di ricercatori coordinata dall'Istituto di scienze polari del Cnr sostiene che le cause sono due: il riscaldamento rapido nell'Artico, che modifica la circolazione di correnti e i flussi atmosferici, e l'aumento della temperatura della superficie del mar Adriatico. Un altro esempio di come, pur se la temperatura della Terra aumenta, parti diverse del globo sperimentano apparenti «stranezze».

Se un decennio fa il rallentamento della Corrente del Golfo era una previsione basata su modelli matematici, oggi abbiamo un quadro consistente della situazione. Già nel 2019, il report dell'Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) affermava con ragionevole certezza che la Corrente del Golfo si è indebolita nel periodo 1850-1900. «Il nostro studio porta ulteriori evidenze che giustificano questa conclusione perché prende in considerazione moltissimi studi recenti» dice Rahmstorf. Il ricercatore si riferisce a misurazioni in mare iniziate nel 2004, ma anche a dati negli archivi riguardo a vari elementi chimici, anelli di alberi, carotaggi, sedimenti marini, coralli e perfino diari di bordo di navi.

Che accanto a un innalzamento della temperatura media terrestre (dovuta alle emissioni di CO2 di origine antropica) vi siano regioni che sperimentano periodi dell'anno più freddi non è una contraddizione. Le differenze climatiche tra le aree del pianeta, come pure l'intensificarsi dei fenomeni meteo estremi, sono una conseguenza prevista del riscaldamento globale. Quest'ultimo sconvolge gli equilibri del sistema Terra, dalle correnti marine a quello idrogeologico alle catene alimentari, e la maggiore energia in atmosfera intensifica piogge, nevicate, venti. Si prevede che la riduzione della Corrente del Golfo intensificherà gli uragani nelle coste degli Stati Uniti e avrà conseguenze gravi sulla vita degli ecosistemi marini.

Il problema più a monte, lo scioglimento della calotta polare, contribuisce poi all'aumento del livello dei mari (dovuto anche alla riduzione dei ghiacciai terrestri e alla dilatazione termica dovuta a un'atmosfera più calda). Al momento i dati dicono che in media il livello del mare si è innalzato di circa 21-24 centimetri dal 1880, e un terzo dell'aumento viene dal surriscaldamento delle ultime tre decadi. Nel 2019 era 87,6 millimetri sopra la media raggiunta nel 1993 - misurata dai satelliti - e solo tra il 2018 e il 2019 si è alzato di 6,1 millimetri.

Le previsioni sono che per fine secolo il livello medio dei mari cresca di 30 centimetri ancora, anche se le emissioni di gas serra non dovessero subire ulteriori aumenti. Nel Mediterraneo significherà pericolose mareggiate, specie nell'Adriatico del Nord. Quella zona subisce, infatti, anche un effetto geologico sfavorevole: sotto la spinta della placca africana, la parte meridionale dell'Adriatico si solleva di circa due millimetri l'anno e quella settentrionale si abbassa di due e mezzo. Così la parte a nord dell'Adriatico corre un rischio maggiore di erosione marina.

Particolarmente grave la situazione prevista in Veneto, così come nel nord del Tirreno, alle foci del Magra e dell'Arno. La stima dell'Ipcc è che l'Italia potrebbe perdere 4 mila chilometri quadrati di aree costiere: il 25,4 per cento nel nord Adriatico, il 5,4 nell'Italia centrale, il 62,6 nell'Italia meridionale, e il 6,6 in Sardegna.

Nel 2016 la Ue ha ratificato l'accordo di Parigi, che punta a mantenere l'aumento medio della temperatura mondiale sotto i due gradi rispetto ai livelli preindustriali. Anche se riusciremo a raggiungere questo obiettivo minimo, dovremo comunque assistere a sconvolgimenti fisici, chimici e biologici su grande scala, proprio come quello che riguarda le correnti oceaniche.




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