«Vi facciamo saltare»
Stefano Taglione
livorno. «Che cazzo scrivete. Non riapre un cazzo nulla. Noi si apre il primo giugno. Finitela di scrivere cazzate. Qui non se ne può più. E anche voi che scrivete le stronzate, ora basta, se continuate vi si fa saltare in aria. Vengo lì e metto una bomba».
Sono le 9.42 di ieri quando al centralino del Tirreno arriva una chiamata anonima. «Voce giovane: toscana, forse livornese», dirà poi la dipendente del nostro giornale che ha risposto alla telefonata. Ventisette secondi di urli incontrollati e pieni di rabbia, senza neanche dare il tempo a chi è dall’altra parte della cornetta di proferire parola. L’interlocutore che evoca l’esplosione di una bomba nella sede di viale Alfieri ha appena letto la locandina del Tirreno che riassume in poche righe il piano del presidente del Consiglio Mario Draghi sulle graduali riaperture delle attività commerciali.
Ma anziché esternare un suo punto di vista, decide di evocare lo scoppio di una bomba e subito dopo troncare la conversazione. Sull’episodio di ieri la polizia ha subito avviato un’indagine. Un’escalation, purtroppo, quella delle minacce al nostro giornale. Un episodio simile – con la frase «Ci vorrebbe un bell’attentato alla sede del Tirreno con tanto di morti e feriti» – era avvenuto attraverso Facebook, da Pistoia, lo scorso 22 febbraio. Nello stesso giorno in cui un nostro giornalista, a Livorno, durante un servizio veniva minacciato da un tabaccaio (che due mesi fa scriveva per un sito Internet) al quale era stato chiesto di non copiare gli articoli del Tirreno o, nel caso, almeno di citare la fonte: «Te sei una testa di cazzo e se lo ridici vedi cosa ti succede», fu la sua risposta.
C’era già stato un primo e brutto episodio lo scorso 10 febbraio, sempre a Livorno. Quando un nostro collaboratore sotto la sede dell’ex Autorità portuale venne avvicinato da alcuni iscritti a un’associazione di circoli nautici al termine di un’assemblea. Una di queste persone si era spacciata per poliziotto, minacciando il collega («dammi i documenti che li fotografo, poi dammi anche il cellulare che cancello tutti gli appunti e se ti rifiuti ti butto in acqua»). La scena, ripresa dalle telecamere di sicurezza, ha portato a sei denunce per minacce e in un caso si è aggiunta l’accusa di sostituzione di persona.
Anche fra il 25 e il 26 marzo scorsi c’erano stati due brutti episodi. Quella notte un giornalista della cronaca di Livorno era stato minacciato al telefono da una persona che faceva inquietanti allusioni sui termini usati nei suoi articoli sulle ultime inchieste giudiziarie che hanno interessato il Comune: «So dove abiti e che numero di telefono hai». Mentre il pomeriggio precedente, un cronista e il fotografo della redazione di Piombino, seguendo la “rivolta” che si era scatenata in un centro di accoglienza per migranti dopo la morte di uno degli ospiti furono aggrediti con insulti, lanci di sassi (per fortuna schivati) e sputi. —
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