Treviso e provincia, spariti 5 mila residenti. «Effetto Covid e culle vuote per la crisi»
TREVISO. In un anno la provincia di Treviso ha perso 5.452 residenti, e stavolta non è tutta colpa del Covid. Un paese delle dimensioni di Povegliano o Godega sparito nel nulla. È l’effetto di anni di incertezza e della crisi economica che si è aggiunta alla pandemia, tanto che pure il capoluogo, solitamente in controtendenza, nel 2021 mostra il segno meno alla voce residenti, con 526 persone in meno rispetto all’anno prima.
Sono i dati che l’Istat ha pubblicato due giorni fa, ancora provvisori ma indicativi di una tendenza ormai consolidata. Colpisce, in particolare, il crollo dei nuovi dati: nella fascia d’età 0-1 anno, la provincia di Treviso è passata dai 12.816 residenti del 2020 ai 12.360 del 2021. Mentre appena due anni fa i nuovi nati furono 13.549.
Se Treviso capoluogo torna sotto quota 85 mila abitanti (84.930), l’intera provincia si assesta a 878.070. Un crollo verticale rispetto all’anno prima, quando si era già verificato un decremento rispetto al 2019 ma di dimensioni molto più ridotte (allora passarono da 884.173 a 883.522).
Istat precisa che i dati sono provvisori, perché riferendosi a gennaio 2021 necessitano ancora di un’ulteriore conferma da parte delle anagrafi comunali. Ma non cambia il senso del ragionamento: i trevigiani sono in fuga da Treviso. E al primo gennaio 2021 il Covid era stato responsabile di 935 vittime (oggi già salite a quasi 1.800), insufficienti quindi a spiegare da sole il saldo negativo.
«Questi numeri sono il risultato di una tendenza storica» spiega Alessandro Minello, docente di Economia e politica delle imprese all’Università di Venezia, «il 2021 è l’apice di un periodo che ha visto ridursi continuamente il tasso di natalità nella nostra provincia. Questa riduzione è dovuta a diversi fattori: il primo è biologico, cioè la popolazione invecchia, la componente femminile invecchia e il tasso di fertilità si abbassa. La crisi economica ha fatto il resto. Dal 2007 abbiamo avuto almeno un paio di crisi compresa questa, da 10-12 anni siamo immersi in una crisi di prospettiva, le famiglie ci pensano due volte prima di allargarsi. Nascono meno figli, uno al massimo».
È una tendenza che non si invertirà a breve. «L’uscita dalla pandemia dovrebbe favorire un certo grado di serenità e una ripresa dell’occupazione, il problema è che nessuno sa quando avverrà» continua Minello.
«Siamo arrivati a un limite di non riproduzione della società: mi aspetto che ci sia un rallentamento della caduta e una ripresa nei prossimi anni. Non sarà qualcosa di immediato, in ogni caso. I cicli sono decennali, la ripresa della denatalità, da quando partirà, farà vedere i suoi effetti dopo 5-6 anni». —