Franco Battiato: la rivoluzione in musica
Non lo ha mai capito nessuno fino in fondo Franco Battiato. Per un motivo molto semplice: applicati a lui gli schemi convenzionali con cui si giudica un artista non hanno mai funzionato. In primis perché le sue opere musicali non sono riconducibili ad alcuno schema. Battiato le convenzioni le ha sempre rigettate, così come ha sempre rigettato con uno sguardo ironica compassione tutti quelli che per vari motivi si rivolgevano lui come un guru, un maestro che emanava luce.
Non era esattamente tipo da farsi adulare Franco Battiato e il rispetto che si guadagnato nel corso degli anni stringendo intorno a sé un pubblico sempre più vasto, lo ha ottenuto con la musica, con le suggestioni che riusciva a creare, contaminando generi, facendo incontrare sacro e profano, alto e basso, classica e pop, diventando di volta in volta accessibile e mainstream ma anche incomprensibile ai più.
Ce lo ricordiamo tutti nel magico triennio 1979-1981 quando con tre dischi stupefacenti: L'era del cinghiale bianco, Patriots e La voce del padrone aveva cambiato volto alle classifiche facendo passare in radio il lato più surrealista e spiazzante della sua vocazione pop. Aveva iniziato negli anni Sessanta sperimentando, facendo avanguardia elettronica, immergendosi nelle atmosfere dilatate del progressive rock e poi aveva cambiato rotta, una, cinque, dieci volte. Del suo talento si erano accorti da subito Giorgio Gaber e Lucio Dalla. A seguire, tutti gli altri.
Se ne è andato in silenzio perdendo progressivamente i fili che lo legavano alla vita e circondato solo dagli affetti delle persone più care. In eredità lascia un patrimonio di album e canzoni che sono lì per emozionare quelli che c'erano quando le ha composte, quelli che verranno o che non erano ancora nati quando quelle meraviglie uscirono su vinili e cd. Da Centro di gravità permanente a Up Patriots to arm, passando per Alexander Platz, Summer on a solitary beach, Gli uccelli, E ti vengo a cercare, La stagione dell'amore e poi ancora l'invettiva politica e sociale, un atto di amore verso l'Italia espresso con le parole più dure, quelle contenute in Povera Patria. E infine, su tutte, La cura, una canzone d'amore universale, una pietra miliare che non va commentata ma solo ascoltata. Ed eventualmente consigliata a chi non ha mai avuto la fortuna di imbattersi in tanta bellezza.