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Май
2021

Sgarbi: «Sì, ho il cancro ma io vado più veloce»

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Il critico d'arte è malato, però non si ferma. «Non volevo fare una confessione pubblica, ma l'idea di superare il tabù è stata percepita come una forma di umanità» dice a Panorama. «Il futuro è una lavagna nera davanti a me, dove disegno ogni giorno quello che faccio. E non so cosa accadrà tra quattro anni».


Robert De Niro per interpretare il mitico personaggio di Taxi Driver si ispirò a un granchio. Non affrontava nessuno di fronte, ma avanzava di lato. Vittorio Sgarbi probabilmente si è ispirato a un falco pellegrino, l'animale più veloce in natura. Adorato, temuto, perseguitato. Grande predatore, piuttosto intollerante, dio Horus per gli egizi, anima errante per i cristiani. E trascorrere una giornata con un'anima errante significa possedere la pazienza di Giobbe, perché l'attesa è uno stile di vita per lui.

Il portiere indica un'austera sedia nell'androne dell'elegante palazzo romano dove vive. Lui arriverà molto dopo, ma arriverà. E invitandomi a salire sulla sua auto mi catapulterà in un mondo assolutamente magico. L'armadio delle Cronache di Narnia gli spiccia casa al nostro più celebre critico e storico dell'arte. Racconta: «Sono reduce da una giornata all'ospedale. Ho un cancro, mi sto curando. Combatto e in fondo sono abituato a lottare. Nel 2015 mentre viaggiavo ho avuto un attacco di cuore, una corsa all'ospedale, sembrava la fine, mi dissero che se tardavo mezz'ora sarei morto. Dopo l'operazione, appena ho ripreso le forze trascorsi soli 45 minuti, ho dettato un articolo al Corriere della Sera su un dipinto che avevo scoperto. Non ho idea di cosa sia la convalescenza, non ho mai fatto la vittima. La malattia va presa di petto. Non sfidarla, perché sarebbe stupido, ma non farti piegare da lei. Fino alla fine. E poi sono stato fortunato: la mia è guaribile. Potevo avere le metastasi, non è così e io non ho paura».
Nella macchina piena di libri e cataloghi d'arte, il critico parla, mentre lo chiamano al telefono continuamente per sapere come si sente, invitarlo a inaugurazioni di teatri ed eventi.

«Non ho fatto il ministro dei Beni culturali, ma solo il sottosegretario, mi auguro di poterlo fare. Per me sarebbe come un'onorificenza, un punto d'arrivo tra cultura, politica, arte, estetica. Non è ambizione, ma un ruolo che sintetizza un destino, la sintesi della mia attività. Dario Franceschini, ferrarese come me, mi ha scritto: "Ti tengo pulito e ordinato l'ufficio"». Ma ora la sua mente è rivolta soprattutto al cancro: «Al San Raffaele il professor Andrea Salonia, dopo essersi consultato con Alberto Zangrillo, mi ha inviato al Regina Elena, il centro oncologico di Roma, dove sono stato amorevolmente preso in cura dai professori Giuseppe Sanguineti e Alessia Farneti. Sto facendo un ciclo di radioterapia. Sono stanco, ma poi penso a mio padre, morto a 97 anni. Vorrei arrivare alla sua età, mi rendo conto però che gli ultimi dieci non saranno i più divertenti».

Si è divertito Sgarbi nella vita: critico e curatore di mostre importanti, politico, parlamentare, sindaco, presidente di fondazioni e musei, mito mediatico, prolifico autore, direttore del Padiglione Italia della 54esima Biennale a Venezia. Esteta assoluto e scopritore di immensi tesori come l'Ecce Homo, ritrovato poche settimane fa in una piccola casa d'aste a Madrid. Attribuito alla cerchia di José de Ribera, ma lui non ha dubbi: «È Caravaggio». Intanto scende dall'auto e si incammina veloce tra i vicoli di Trastevere, continuando a parlare: «Conoscevo un pittore, Valentino Vago, aveva un brutto cancro al fegato, poi senza spiegazioni è sparito».

Un miracolo, allora crede nel divino? «Penso che la Scienza sia Dio. Se Dio c'è comprende anche la Scienza. Sono ateo, ma in fondo il più cristiano di tutti. Credo più alla Chiesa che a Dio, anzi ritengo di essere l'ultimo che crede nella Chiesa. Perché la vedo in tutta la sua bellezza, Dio è troppo impervio per la mente umana. Di lui non ho nessuna evidenza, mentre non ho alcun dubbio sulla Chiesa». Allora esiste un aldilà? «L'inferno deve essere per forza a tempo limitato, perché l'eternità è solo di Dio. A un certo punto finisce e perciò tutti siamo destinati al paradiso. Se fai durare il male per un tempo eterno vuol dire che è Dio». Chissà se Sgarbi che ha molto vissuto un giro all'inferno se lo farà. «Macché, andrò un po' in purgatorio, poi come tutti salirò in paradiso».

Intanto arriva al ristorante, per strada decine di ragazzi lo fermano, chiedendogli una foto insieme: «Vittorione, facciamo un selfie?». E lui non si scompone: «Mi piace essere chiamato così, sa di grande». Entra in una galleria d'arte che espone ceramiche di artiste, firma il libro: «Nella donna c'è l'uomo». E continua: «Ho amato e sono stato molto amato. Non posso stare con una donna che non mi voglia più di quello che io voglio lei. Se dovessi immaginare delle ammucchiate non sarebbero mai quattro uomini e una donna, ma quattro donne e un uomo. Voglio essere sopraffatto. Pure la donna sa essere sfrenata. Non esiste solo quella angelicata, può diventare anche un demonio».

Seduto fuori a tavola all'Antico Moro chiede all'oste persiano (destabilizzandolo) del Lambrusco: «Bevo solo quel vino». L'educazione borghese, i «sovrumani» silenzi del padre Giuseppe, come lo stesso racconta nel commovente Lei mi parla ancora (Nave di Teseo), tutto fa pensare tranne che avrebbe confessato platealmente di avere un tumore. «Non volevo fare una confessione, ma l'idea di superare il tabù è stata percepita come una forma di umanità. In realtà c'era una componente di reazione e provocazione. Sono sempre stato convinto che la malattia richiedesse riservatezza, che poi è la linea in cui sono stato educato. Quindi avrei dovuto tenere per me anche questo, ma visto che il Covid è diventato una malattia pubblica, con quasi l'obbligo per i personaggio noti di dirlo, esibirsi, come fosse un dovere denunciarlo e farsi fotografare sfatto sui social, allora non capisco perché deve essere pubblico chi ha il virus e non chi ha il cancro».

Une saison en enfer è stato questo primo anno del «Coronacene», per Sgarbi resta solo uno Stato debole e impaurito e un numero impressionante di morti. «Oggi ci troviamo in una situazione senza risposte convincenti. Chiudere i musei e i teatri era sbagliato. A Madrid sono rimasti aperti, ci voleva un protocollo europeo». Come andrà a finire? «Tra i vaccini che avanzano e il caldo di giugno sarà il virus che se ne va e non noi che lo mandiamo via».

A questo punto grida: «Spazzola!». Pettinato entra nel ristorante, infila una cravatta blu e si posiziona davanti alla telecamera per la prima diretta della serata. E intanto continua a domandarsi: «Andare in bicicletta da soli da Roma a Sutri che rischio comporta? Le precauzioni non possono essere irragionevoli. Se io devo masturbarmi non mi metto un preservativo. Il coprifuoco è un delitto contro i diritti, è fuorilegge. Dopo le dieci a Chieri, a Mondovì non trovi nessuno dunque perché non si può uscire? Capisco proibire gli assembramenti, ma non vietare di camminare da solo di notte in una città deserta».

Sono quasi le 22 e lui torna a sparire nella notte romana, volando velocissimo alla Camera per l'ultima votazione. Poi a casa, dove l'aspettano per un'altra diretta tv. «Non bisogna fidarsi di nessuno, ho una sfiducia totale nell'umanità. Considero quasi tutti cretini, ma non glielo faccio capire». Pareti rosso pompeiano e divani di velluto bordeaux, quadri antichi, oggetti preziosi, fotografie e sculture erotiche seicentesche.

Circondato da tanta bellezza Sgarbi si rifugia in cucina a parlare di Beppe Grillo: «Quel video l'ha fatto per amore del figlio. Ma lui non è solo un padre, è il leader di un partito politico. Quando quell'estate si è trovato di fronte la crisi scatenata da Salvini, iniziava anche l'inchiesta sul figlio per il presunto stupro. E allora ha dovuto pensare a un governo. Non ha pensato all'Italia, ma solo a creare un cuscinetto al figlio. Il suo video è il testamento finale. Riusciamo a immaginare che a casa di De Gasperi potesse mai succedere una cosa simile? Eppure ciò è meraviglioso: si è giocato il destino. Questo un leader non se lo può permettere».

Poi chiede un'altra cravatta, si pettina ancora e si prepara per l'ultima apparizione della giornata. «Non ho paura della morte perché non è tra i miei obiettivi. La mia visione del mondo non è prospettica. Chi ha una visione del mondo costruita sa dove vuole arrivare, io invece ho raggiunto molti traguardi, ho vissuto tante vite. Il futuro è una lavagna nera davanti a me, dove disegno ogni giorno quello che faccio. Non so cosa capiterà tra quattro anni. Vado velocissimo, non ho tempo di fermarmi a pensare alla morte. Per me non esiste, la esorcizzo vivendo in modo vitalistico». Si alza e plana rapido davanti alle telecamere.




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