Marito e papà violento a Belluno, condanna definitiva a tre anni di reclusione
BELLUNO. Scudisciate ai figli, anche con i fili elettrici del compressore, minacce alla moglie (che veniva anche tradita pubblicamente): “ti apro la testa come un caco, come un’anguria”. E ancora: sedie e mensole tirati dietro un po’ a tutti in famiglia. Insomma non un bel vivere sotto lo stesso tetto con un 56enne nei confronti del quale i carabinieri di Belluno hanno eseguito un ordine di carcerazione: è diventata infatti definitiva la sua condanna a tre anni di reclusione per maltrattamenti in famiglia aggravati, pronunciata dal Tribunale di Belluno nel 2019. L’ordinanza lo ha raggiunto in carcere a Torino dove il bellunese è rinchiuso per altri reati per cui è perseguito recentemente.
La segnalazione all’epoca, partì proprio da uno dei figli e dalla scuola che frequentava: il ragazzo confidò le sue preoccupazioni, l’istituto superiore indicò la situazione ai carabinieri.
Figli (minorenni all’epoca dei fatti) e moglie costretti a lavorare nel locale dell’uomo anche fino a notte fonda, altrimenti i primi non avrebbero più ricevuto un euro per continuare la scuola. Poi violenze fisiche e verbali.
La vicenda che vede il bellunese al centro dell’inchiesta, e le indagini condotte dal nucleo investigativo dei carabinieri, iniziarono a maggio 2017 dopo quindi la segnalazione di uno degli istituti frequentati dai ragazzi, dove si erano manifestate alcune difficoltà.
I carabinieri del Nucleo investigativo, coordinati dal colonnello Marco Stabile, diedero quindi il via ad alcuni accertamenti. Una prova dopo l’altra permisero di applicare nei confronti del 56enne, già nell’agosto del 2017, la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare dove lo stesso viveva con la moglie e i figli, nonché di fornire gli elementi per il processo. Secondo la procura, da marzo 2016 al 10 agosto del 2017, moglie e figli vissero in un clima di “terrore” (come si scrive nell’imputazione) tra violenze fisiche e psicologiche: ai figli non venivano risparmiati epiteti come “bastardi” o “mongoli”, battuti anche con fili elettrici dietro la schiena, colpiti con vari oggetti e mobilio. Faceva seguire moglie e figlia, costringeva quest’ultima a lavorare nel locale fino a tardi; mentre la moglie avviò anche le pratiche di separazione per porre fine a una convivenza penosa e insopportabile.
In una occasione, la figlia fu presa di mira perché stava svuotando un armadio, per far posto a un letto più grande in camera. Uno dei ragazzi, invece, colpito e umiliato davanti a altre persone.
Nell’udienza del 4 luglio 2019 il 56enne è stato condannato a tre anni di reclusione perché "con una pluralità di condotte criminose, anche sotto l’effetto di sostanze alcoliche, tutte lesive dell’integrità fisica e morale delle persone offese, commetteva reiterate violenze fisiche e psicologiche (calci schiaffi, pugni offese e minacce nei confronti della moglie -offese ai figli costretti a lavorare al bar - costante clima di terrore etc)”.
Il giudice Antonella Coniglio in quella stessa sentenza comminò anche quindicimila euro di risarcimento per la moglie, quattromila per due figli e ottomila per la figlia.
Ora l’iter processuale per maltrattamenti è arrivato a conclusione dopo la sentenza del Tribunale di Belluno del luglio 2019, dopo una sentenza della Corte di appello di Venezia del novembre dell’anno scorso, i tre anni di condanna sono diventati definitivi ad aprile di quest’anno in quanto la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato. —