C'è un'immagine di Halston, scattata nel 1960 da Jean Barthet, in grado di riassumere alla perfezione la sua essenza. Una foto che va perfino al di là dell’uomo Halston e resta come una specie di modello d'ispirazione, archetipo di quell'epoca. Lo stilista statunitense rappresentava Hollywood nell'epicentro della New York degli anni '70. Era il glamour e l'eccesso della capitale mondiale del cinema, ma anche la raffinatezza elitaria con tutte le contraddizioni e le ombre della Grande Mela. La particolare bellezza e le sue maniere lo hanno preceduto. Chi l'ha visto lo ha descritto come una specie di Rock Hudson della moda: alto, affascinante e di bell'aspetto. La celebrità di cui godeva appena ha varcato le porte dello Studio 54 ha esaltato la sua aurea iconica. Tuttavia, questa grandezza fa parte della facciata, un mito su cui ha posto le fondamenta della sua carriera nella moda. 

Roy Halston

Roy Halston
Halston: Inventing American Fashion (Lesley Frowick, 2014)

Molto tempo prima di essere conosciuto come Halston, lo stilista, Roy Halston Frowick lavorava in qualità di vetrinista presso i grandi magazzini di lusso Bergdorf Goodman. Proprio lì avrebbe iniziato con i cappelli da donna, un’incredibile carriera di stilista. Una delle sue prime clienti fu Jackie Kennedy. Per l'investitura del marito a presidente degli Stati Uniti, la first lady commissionò all'americano un lavoro che lui disegnò rivoluzionando il gusto delle masse. Così è nato il cappellino a tamburello, il faro di una nuova generazione caratterizzata da un look dalle linee pulite e da un'estrema eleganza che avrebbe lanciato la carriera di Halston e trasformato Jackie O in un'icona. Per molti, la sua parabola rappresenta il perfetto modello del sogno americano, tuttavia, visto in prospettiva, ciò che gli è accaduto potrebbe essere visto come risultato dell'essenza stessa di Halston: uomo marketing allo stato puro fin dai suoi esordi. «Vivevamo uno accanto all'altro e andavamo a piedi a lavorare insieme. Parlavamo, spettegolavamo, ci divertivamo,» dice di lui Tom Fallon, il partner dello stilista a Bergdorf Goodman. «Ma appena arrivavamo al lavoro e varcavamo la porta del magazzino, si trasformava. La prima volta che l'ha fatto, ero stranito, ma poi ho capito: si era messo la maschera di Halston. La sua voce cambiava non appena aveva a che fare con la crème de la crème della società dell'epoca».

Roy Halston e Marisa Berenson, attrice ed ex modella statunitense

Roy Halston e Marisa Berenson, attrice ed ex modella statunitense
David McGough / Getty Images

Roy Halston Frowick è nato nello Iowa nel 1932, ma non l'ha quasi mai raccontato. Ha preferito fuggire dal suo stato di origine e seppellire il passato per diventare una star. Un’impresa decisamente riuscita. Ha lavorato instancabilmente e ossessivamente fino ad arrivare in cima alla torre più alta, la Olympic Tower di proprietà di Aristotele Onassis che domina la mitica Cattedrale di San Patrizio a New York. Nella propria mente aveva calcolato tutto al millimetro. Sapeva come voleva le cose e come gli altri le dovevano fare per lui. La libertà dei primi anni lasciò presto il posto alla rigida disciplina che gli ha permesso di crescere. Un modo di lavorare nettamente in contrasto con l'immagine che voleva dare di sé esternamente: libero, fluido, estroverso, emancipato e molto sexy. La maschera di Halston.

Halston con i suoi disegni ha creato uno spazio agli Stati Uniti sulla mappa della moda, aiutato dal personaggio che si era creato e da un valido entourage. Negli anni '60, quando le donne erano costrette nei modelli eleganti di Charles James, il giovane Halston attuò una vera rivoluzione e le liberò in un modo certo non comune. I suoi modelli a pezzo unico hanno rivoluzionato le forme e l'industria. «Era capace di gettare un tessuto sul pavimento, fare un taglio e creare un abito spettacolare,» ha confessato Pat Cleveland, una delle sue muse. La donna, considerata una delle top model degli anni ’70, è stata infatti scoperta dallo stilista all'età di 19 anni nella metropolitana di New York. Da allora non si sono più separati e nemmeno da Anjelica Huston, Marisa Berenson o Alva Chin. Insieme costituivano il gruppo di supermodelle del decennio, e ognuna di loro adorava Halston.

Liza Minnelli; Andy Warhol; Halston; Jack Jr. Haley [e la moglie];Mrs. Mick Jagger

Capodanno nello Studio 54: Halston, Bianca Jagger, Jack Haley, Jr., Liza Minnelli e Andy Warhol.
Robin Platzer / Getty Images

Lo stilista non si è limitato a vestire le modelle, ma era amico intimo di Liza Minelli, Elizabeth Taylor, Bianca Jagger e Lauren Hutton la cui Halston multicolore, indossata al gala degli Oscar del 1975, resta ancora oggi un’ispirazione altissima. Tutte queste attrici, modelle e celebrità erano conosciute come le Halstonettes, con le quali varcava ogni sera le porte del leggendario Studio 54, insieme a Yves Saint Laurent e Andy Warhol, due dei suoi amici più cari. Insieme all'artista pop e a uno dei suoi amanti più duraturi, Victor Hugo, crearono alcune delle vetrine più scandalose dell'epoca: manichini incinta, casalinghe con borsette di lusso che fanno lavori domestici e sex toys. Alcune di queste creazioni furono addirittura denunciate e dovettero essere rimosse.

Halston ha ribaltato il concetto di moda americana rendendo elegante la praticità e la semplicità americana ed elevando la sua couture con il glamour delle grandi capitali europee. Inventò il concetto di lusso americano. Dietro gli eterni occhiali da sole da cui osservava il proprio inarrestabile trionfo qualcosa però cominciò a scricchiolare. La sua vita deragliava a causa di feste inzuppate di alcool, polvere bianca e dolce vita su divani fatti di Ultrasuede, un tessuto di successo brevettato dalla casa. I vantaggi di questa pietra miliare dell’industria tessile erano che imitava il camoscio e poteva essere lavata in lavatrice. Per Halston rappresentava la quintessenza del lusso e chiese che i divani di casa sua ne fossero rivestiti. Spettava poi al maggiordomo la mattina dopo la tempesta dei bagordi lavorare duramente per rendere di nuovo tutto immacolato, come piaceva dire allo stesso Halston.

Roy Halston

Ann Clifford / Getty Images

Mentre la sua vita cadeva lentamente a pezzi si facevano sotto i nuovi arrivati. Perry Ellis e Calvin Klein cominciarono a monopolizzare i cartelloni, mentre la megalomania di Halston uscì fuori in tutta la sua prepotenza fino a diventare incontenibile. La smania di vestire tutta l'America lo portò a firmare un mega contratto con i grandi magazzini JC Penney che diede una svolta alla sua carriera nel lusso: oltre alle licenze per la casa, avrebbe fornito per cinque anni esclusive capsule collection alla classe media americana. Bergdorf Goodman rescisse di conseguenza il contratto con lui e fu l'inizio della fine. L’ultimo capitolo arrivò con l’offerta di acquisizione ostile di Esmark. Carl Epstein diventò amministratore delegato, ridimensionò le sue pretese di direttore creativo star e poi lo espulse dallo studio. Nei suoi ultimi anni, Roy Halston Frowick desiderò solo scomparire come dichiarerà sua nipote Leslie Frowick. Ma la leggenda era troppo grande e questa impresa fu invece impossibile. Tornò a San Francisco per ricongiungersi con la famiglia, dalla quale era stato separato praticamente per tutta la vita, e si tolse la maschera. Lì ha vissuto i suoi ultimi anni, fino a quando nel 1990 l'HIV gli tolse la vita. Più tardi, altri stilisti hanno cercato di ravvivare il suo nome, ma la verità è che il grande lusso americano non ha più avuto un nome all’altezza dei suoi memorabili slogan pubblicitari: Simply, Halston.

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