Amanda Wakeley, in crisi nera il brand preferito dalle donne della royal family
La pandemia ha messo in ginocchio una delle firme preferite dalle donne della famiglia reale britannica. Alle prime difficoltà scaturite nel periodo del lockdown, il brand Amanda Wakeley aveva intrapreso la ricerca di un acquirente che potesse salvare l’azienda ma, in mancanza di questo, la società venerdì scorso è entrata in amministrazione controllata.
Quella di Amanda Wakeley è una di quelle belle storie del fashion britannico che intrecciano tradizione e qualche colpo di fortuna come quello di entrare nelle grazie della principessa Diana. Fu il padre della designer a credere nel talento della figlia prestandole 20mila sterline per aprire uno studio e un negozio a Chelsea nel 1990. Nota per lo stile pulito e glam al tempo stesso, in quanto aristocratica (suo padre era il baronetto Sir John Wakeley), era in grado di intercettare le esigenze della componente femminile del bel mondo inglese impegnato a saltare da un banchetto a un party passando per una corsa di cavalli e un matrimonio (disegnava anche una collezione bridal). Venuti meno gli appuntamenti per i quali aveva senso indossare un abito da cerimonia o da cocktail, come un domino è venuto giù prima il flagship store di Mayfair e a seguire le concessioni nei grandi magazzini del lusso accumulando debiti e creditori da risarcire.
Per Diana, la designer aveva disegnato degli indimenticabili tailleur su misura. Il più famoso è forse quello con cui il 3 dicembre 1993 ha annunciato che avrebbe fatto un passo indietro dai doveri reali per cercare di avere una maggiore privacy. Tra le sue clienti, le due più celebri degli ultimi anni sono state di sicuro le due duchesse del fashion, Kate Middleton e Meghan Markle. La duchessa di Cambridge ha sfoggiato spessissimo capi di Amanda Wakeley, sia nella versione da giorno sia in quella da sera, anche prima che si sposasse con William nel 2011. Stesso discorso per la duchessa di Sussex che ha scelto il brand – cappotto bianco più abito blu – per il primo evento da royal al Commonwealth Day Service dopo averlo apprezzato anche nella sua vita da attrice in America.
Al nome di Amanda Wakeley è legato anche il cosiddetto «trousergate» dell’ex premier Theresa May. In posa per un servizio fotografico per il Sunday Times con un paio di pantaloni di pelle da quasi mille sterline, la leader del partito conservatore fu aspramente criticata dai membri del suo partito per il prezzo di quel capo. Un dibattito basato sul nulla visto che, come spesso accade i vestiti erano un prestito per lo shooting, ma che fece emergere il sessismo nei confronti degli abiti delle donne in politica: come fecero notare in molte, nessuno si permetteva di mettere becco sugli abiti costosi indossati dagli omologhi uomini.
La sorte del brand non è ancora del tutto chiara. «Il nostro obiettivo principale è massimizzare le realizzazioni a vantaggio dei creditori» fanno sapere dall’amministrazione «Amanda Wakeley e un nucleo di dipendenti continuano a supportarci con la nostra strategia di realizzazione». La priorità della stilista che ha legato il suo nome a questo capitolo della moda negli ultimi trent’anni tanto da essere insignita nel 2010 di un OBE per il servizio reso alla moda britannica è «mitigare l’impatto dell’insolvenza sui creditori dell’azienda», lo dice in una nota con cui comincia a fare il giro di ringraziamenti preventivo. Non è il primo mare in tempesta che il brand affronta: aveva già perduto l’azienda Amanda Wakeley ma l’aveva riconquistata. «Ai nostri clienti, molti dei quali sono diventati nostri amici, grazie per la vostra fedeltà» aggiunge «sono profondamente toccata dai tanti messaggi di sostegno rivolti alla mia famiglia e all’azienda durante la crisi. È un onore progettare per voi». In quel tempo presente fa capolino una nota di speranza – per quanto labile – in questo requiem.