Corruzione, investigatore modenese condannato
Condannato a 4 anni e 2 mesi per corruzione in concorso e e accesso abusivo ai sistemi informatici in uso alle forze di polizia. Fabio Goldoni, titolare di un’agenzia investigativa privata, è stato giudicato colpevole dal collegio giudicante del tribunale di Ancona. Insieme a lui è stato condannato a 7 anni anche Mirko Minghelli, dirigente dell'Anticrimine al commissariato di Senigallia, a cui erano stati contestati anche la rivelazione di segreti d’ufficio e la truffa aggravata ai danni dello Stato. Entrambi erano finiti in un’inchiesta innescata dall’ex questore di Modena, Oreste Capocasa, che si era accorto di sospetti e numerosi accessi al sistema informatico della polizia per raccogliere informazioni su persone che all’apparenza non avevano alcun valore investigativo per la polizia marchigiana.
Stando a quanto ricostruito in aula e che ha evidentemente convinto i giudici anconetani tra Minghelli, originario di Bologna e Goldoni vi era un accordo utile ad entrambi. In particolare l’investigatore privato modenenese cercava e otteneva informazioni utili su alcune persone che erano in orbita di assunzione in importanti aziende geminiane, che erano tutte clienti di Goldoni. Una sorta di verifica sulla credibilità delle persone, utile a garantire alle imprese personale di comprovata serietà lavorativa e senza scheletri negli armadi.
Alla fine dei conti, la polizia ha documentato un centinaio di accessi informatici ad opera di Minghelli senza alcuna finalità investigativa ma con l’evidente scopo di agevolare il suo contatto. Va comunque detto che per alcuni capi d’imputazione l’ex dirigente dell’Anticrimine è stato assolto perché “il fatto non sussiste”.
Entrambi gli imputati si sono sempre dichiarati innocenti e hanno rigettato con convinzione le accuse. Lo avevano fatto già nel 2019 davanti al giudice per l’udienza preliminare quando vennero rinviati a giudizio e optarono per il processo piuttosto che per un rito alternativo, convinti di poter dimostrare la propria verità. Lo hanno fatto per tutte le udienze davanti al collegio presieduto dal giudice Francesca Grassi, sostengono l’infondatezza dei fatti contestati. Secondo le difese, come emerso nell’arringa finale, gli accessi erano semplicemente di “natura istituzionale”. Una tesi che non ha convinto i giudici, che dopo la camera di consiglio di ieri mattina hanno condannato Minghelli e Goldoni. Tra 90 giorni sarà possibile ottenere le motivazioni della sentenza e soltanto in quel momento gli avvocati difensori potranno valutare se vi sono le condizioni per promuovere un appello per contestare la ricostruzione del processo di primo grado e ristabilire quella che a loro dire è la verità sostanziale dei fatti. —
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