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Май
2021

Scandalo concerie, per la commissione d'inchiesta la Lega sceglie Meini finanziata dal Cuoio

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I dem escono dall’aula alzando le spalle. C’è chi sospira, chi quasi sogghigna. Per una volta non sono nel mirino, la tensione e l’imbarazzo non si tagliano a fette per i loro silenzi. «Oggi la Lega ha fatto tutto da sola, per un giorno non siamo noi nei casini», dice un esponente del gruppo Pd fuori dall’emiciclo del consiglio regionale. Casino, sì. Perché sarebbe potuta essere una delle sedute più incolori delle ultime settimane, è diventata un altro capitolo del dibattito pubblico (il caos, appunto) scatenato dall’inchiesta sulle concerie. E perché sono le tre e mezza del pomeriggio e a Palazzo Panciatichi i sovranisti di Matteo Salvini hanno appena ottenuto la presidenza della commissione d’inchiesta sulle concerie e l’operazione rischia di trasformarsi in una specie di mossa autolesionista, tafazziana. A guidare l’organo ispettivo sarà Elena Meini, cascinese e fedelissima di Susanna Ceccardi, ma soprattutto una dei consiglieri ed esponenti politici pisani ad aver ricevuto nel 2020 un contributo elettorale da 2.500 euro dall’Associazione conciatori.

La sua investitura arriva con il voto favorevole di tutti i gruppi, tranne uno, il Movimento 5 Stelle. «Dell’intero arco politico consiliare, l’unico gruppo tenuto a margine per la composizione dell’ufficio di presidenza della commissione che indagherà sull’inchiesta Keu è il nostro – dice la grillina Irene Galletti – Da qui il nostro voto contrario. Curioso: il nostro gruppo è l’unico a non aver preso contributi elettorali dalle concerie e, più di altri, poteva garantire la necessaria distanza dai fatti. Che Meini abbia ricevuto un finanziamento è legale, certo nella nostra visione è inopportuno sia lei a guidare la commissione, sarebbe bastato indicare un altro componente estraneo dal contesto delle concerie». Un’eccezione che Galletti non pone in aula, ma che consegna ai giornalisti. Certo è che la presidenza per i leghisti serve a rivendicare la leadership nell’opposizione, soprattutto nei rapporti con Fratelli d’Italia. E pure per una sorta di sfida interna fra la corrente salviniana e quella moderata vicina a Giancarlo Giorgetti. «Indicare Marco Landi sarebbe stata l’ennesima stoccata a Matteo e a Susanna», spiega un big leghista.

«La mia nomina è doppiamente opportuna – si schermisce Meini – Ho preso un contributo regolarmente rendicontato. Si dimostra che non sempre la politica va a braccetto con il malaffare, ma è indipendente. Come si fa ad accostare la mia figura a quella di chi è indagato? Mi sento di garantire al cento per cento un ruolo di terzietà. Anzi, lo interpreterò con maggiore responsabilità proprio per questo. Sarò totalmente trasparente». Eppure piccole crepe si aprono perfino con i meloniani. «La presidente mi ha assicurato che condividerà tutto il percorso – dice Alessandro Capecchi di Fdi – Certo io sono un avvocato e ogni volta che assumo un incarico ne valuto l’opportunità».

Non un caso che due giorni fa sia stata proprio Ceccardi a rivendicare la guida della commissione. Le frizioni con Fdi sono palpabili. E il rischio che la Lega in Toscana replichi agli occhi dell’opinione pubblica lo schema di una maggioranza Draghi pur stando all’opposizione è alto. Potrebbe deludere gli elettori in vista delle amministrative. In fondo, da giorni si parlava di un accordo con i dem: alla Lega la commissione concerie, al Pd quella sui vaccini. Meini invece è stata presidente del consiglio comunale a Cascina nell’era in cui la leonessa era sindaca, è una sua fedelissima. Il suo nome è l’immagine di una cesura fra sovranisti e Pd.

«Che c’entra se ha preso contributi elettorali?! – dice Ceccardi – Seguendo il ragionamento allora Antonio Mazzeo che ha preso i contributi dai conciatori non può fare il presidente del consiglio regionale. Alessandra Nardini l’assessore. Ed Eugenio Giani, che ha fatto approvare in fretta e furia l’emendamento, può fare il presidente della Regione? No, il problema è la nostra consigliera al primo mandato, a cui i conciatori hanno dato un contributo come hanno fatto con tutti? Non scherziamo. Meini può fare la presidente e la farà pure bene»

Poco importa che sia dai gruppi di maggioranza e dagli alleati rimbalzino nelle chat dei giornalisti gli articoli del Tirreno che, tre anni fa, scoprì che vantava nel curriculum una laurea in giurisprudenza mai ottenuta. Meini in mattinata scrive nella chat del gruppo. E il senso del messaggio è chiaro: senza unanimità, si dice pronta a un passo indietro. Arriva il via libera unanime. Così la ceccardiana di ferro battaglia pure con Marco Stella. Il forzista avanza la propria candidatura, ma poi cede. Un no rischierebbe di isolare il partito del Cav, anche perché sia Pd che Italia viva votano a favore, stanno a guardare. I dem rischierebbero perfino di dover spiegare perché Andrea Pieroni, che nell’inchiesta è accusato di corruzione per aver presentato l’emendamento salva-concerie in cambio del contributo dalla stessa associazione, non si sia ancora dimesso. Certo, l’aria che tira nel Pd non è più la stessa di alcuni giorni fa. C’è chi mal sopporta i silenzi di Giulia Deidda, sta montando una fronda contro la sindaca di Santa Croce. «Se davvero lei sapeva che i conciatori stavano interrando schifezze – è la voce di un autorevole esponente Pd – deve spiegare e pagare». —

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