Vertice sui Balcani. Sì unanime all’Unione europea. Ma sui confini “vince” la Serbia
BRDO PRI KRANJU Due protagonisti, otto comparse e un convitato di pietra. Alla fine la spunta la Serbia con il presidente Aleksandar Vučić che porta a casa un importante omissis, quello sull’intangibilità dei confini, nella dichiarazione finale. E lo fa anche grazie all’assenza del presidente francese Emmanuel Macron (appunto il convitato di pietra). L’estrema sintesi del vertice di Brdo pri Kranju dell’Iniziativa Brdo-Brioni che raggruppa i capi di Stato di tutti i Paesi della ex Jugoslavia più l’Albania, nell’ex tenuta di caccia di Tito, è tutta qui.
Iniziativa che ha celebrato il suo decennale con toni di grande amicizia e solidarietà all’inizio. Toni che poi si sono sciolti come neve al sole sotto la rigida conduzione diplomatica di Belgrado, tanto che alla fine il padrone di casa, lo sloveno Borut Pahor, ha ammesso che il tutto è stato «molto impegnativo».
All’ordine del giorno di ieri a Brdo c’era il processo di allargamento nei Balcani occidentali dell’Unione europea e l’intangibilità delle frontiere. E che qualche cosa si sarebbe inceppato a Brdo lo faceva presagire già la défaillance del presidente francese Macron il quale, qualche giorno prima del vertice, aveva giustificato la sua assenza con altri impegni improrogabili. Macron sarebbe stato l’anello di congiunzione con il Processo di Berlino impegnato anch’esso nella fase di allargamento a Est dell’Ue e quindi, in qualche modo, anche con Bruxelles. Parigi, però, è oggi uno dei più tenaci oppositori in ambito Ue dell’ampliamento nei Balcani occidentali, assieme a Olanda e al cosiddetto blocco nordico, allora a Brdo meglio non mettere naso, appoggiando dall’esterno Belgrado sulla questione del Kosovo. Quindi Vučić si è presentato ieri mattina in Slovenia con un pesante asso nella sua tasca diplomatica. Che ha regolarmente giocato portando a casa la posta.
E che quel “qualcosa” che avrebbe poi innescato l’intoppo fosse l’intangibilità delle frontiere, non bisognava essere un Metternich per prevederlo. Del resto quale politico capace di intendere e volere nei Balcani occidentali direbbe di no all’Unione europea e alla valanga di soldi che si porta dietro il processo di adesione? Di intangibilità, lo ricordiamo, si è iniziato a parlare dopo i no paper circolati negli ultimi giorni tra gli ambienti diplomatici e che prevedevano alcuni cambiamenti confinari non da poco nell’area. Nei no paper sarebbe “deceduta” la Bosnia-Erzegovina divisa in tre tra serbi, croati e bosgnacchi, un funerale che avrebbe creato altri morti, ossia una nuova guerra nella regione. Il Kosovo, invece, sarebbe stato annesso all’Albania. E per salvare la Bosnia e quindi l’Accordo di Dayton del 1995 che l’ha disegnata come è adesso, ecco la sacralità dell’intangibilità dei confini che ieri a Brdo si voleva sancire come dogma geopolitico. «Certo - ha detto Vučić al tavolo di Brdo - va bene l’intangibilità dei confini, ma secondo le regole e le norme delle Nazioni Unite». Il che per la ex Jugoslavia significa il rispetto della risoluzione 1244 dell’Onu che è a tutt’oggi valida nelle more di un accordo tra Belgrado e Pristina. E in quella risoluzione è scritto che il Kosovo rimane parte della Serbia con l’Onu che si impegna a promuovere un processo per definire lo status del Kosovo, il suo livello e le sue forme di autonomia. «Quindi non si potevano cambiare i confini nemmeno nel 2008 - ha concluso il leader serbo - quando il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza». «Non si possono interpretare i confini come si vuole o, piuttosto, come vuole una parte», ha affermato, lasciando anzitempo il summit di Brdo diretto a Bruxelles per incontrare il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg.
Piccola nota di “colore”: con la presidente del Kosovo Vjosa Osmani (al suo debutto internazionale), Vučić ha mantenuto un distanziamento sociale di almeno 10 metri per tutto il vertice. Ma non un distanziamento verbale. I due se le sono dette di tutti i colori nel corso del dibattito generale. Osmani prima protesta perché nel documento finale il Kosovo «non è menzionato come Stato», al che Vučić le dice che «sta minacciando l’orso con azioni legali come si direbbe in Serbia». Osmani non molla e accusa Vučić di voler «distruggere l’indipendenza del Kosovo modificando i confini». «È la Serbia che non vuole che si usi la parola Stato per indicarvi - ancora Vučić -, se gli altri si vergognano a dirtelo te lo dico io adesso» e per quanto riguarda il cambio dei confini «quelli - incalza il presidente serbo - li hai cambiati tu separando parti del territorio di uno Stato sovrano».
Alla fine come ha sottolineato il presidente sloveno Pahor, la dichiarazione approvata - già predisposta a inizio vertice ed emendata nella sua versione finale dopo tre intense ore di lavoro degli sherpa delle delegazioni presenti - invita l’Ue a vedere i Balcani occidentali nel loro insieme e non solo come singoli Paesi con i quali la Commissione europea sta negoziando. I leader sottolineano nel documento che l’allargamento dell’Ue a tutti i Balcani occidentali è nell’interesse politico, economico e di sicurezza dell'Ue, è una necessità geopolitica ed è la principale condizione per un futuro europeo stabile, prospero e sostenibile. I dieci aggiungono che l’allargamento è un processo reciproco: da un lato, l’Ue deve accelerare il processo di allargamento e, dall’altro, i Paesi dei Balcani devono accelerare le riforme. Nulla sull’intangibilità dei confini.