A inquinare non c'è solo l'auto
O che contaminano l'aria delle nostre città. Ma tanta foga dovrebbe essere orientata non solo verso gli automobilisti, ma anche contro i proprietari degli immobili. Come mostrano dati dell'International energy agency (Iea), il 39 per cento delle emissioni globali di carbonio legate all'energia sono da attribuire all'edilizia e in particolare il 28 per cento è prodotto da riscaldamento, raffreddamento e illuminazione degli edifici. In Italia, secondo l'Energy and strategy group del Politecnico di Milano diretto dal professor Vittorio Chiesa, il residenziale è il secondo settore più energivoro, dopo i trasporti, con il 28 per cento dei consumi finali di energia.
Una situazione di cui il singolo cittadino non è molto consapevole (anche se spende ogni anno tra 1.500 e 2 mila euro in gas e luce, in media) mentre a livello politico, soprattutto europeo, ne sono ben consci. Bruxelles infatti ha varato alcune direttive che impongono di costruire dal 2021 edifici «Nzeb», Nearly zero energy building, cioè a consumo energetico quasi nullo, con l'obiettivo di avere nel 2050 l'intero patrimonio immobiliare nel continente a livello Nzeb. In Italia il Piano energia e clima (Pniec) prevede di tagliare i consumi finali di energia dello 0,8 per cento all'anno da qui al 2030, e il maggior contributo dovrà arrivare proprio dal settore residenziale che da solo dovrà realizzare il 35 per cento sulla riduzione totale.
Ma una cosa è costruire nuove case a basso impatto ambientale, altro è ristrutturare i palazzi esistenti che, in Italia, all'80 per cento sono vecchi e inefficienti. «Il 30 per cento del calore dei nostri termosifoni riscalda gli ambienti esterni» ricorda Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente. «Se una famiglia potesse far passare il proprio appartamento di 100 metri quadri da classe G a classe A risparmierebbe 1.200-1.500 euro all'anno».
Stefano Pieretti lavora come Regenerative architecture benefit unit leader presso Nativa, una società benefit che, oltre ad accelerare l'evoluzione delle aziende verso la sostenibilità, offre gli strumenti sia per misurare l'impatto sull'ambiente degli uffici e degli stabilimenti, sia per migliorare i processi costruttivi, per ridurre le emissioni di CO2 e i consumi idrici e per aumentare il benessere dei lavoratori. Pieretti spiega che «le aziende sono le prime ad aver abbracciato questa tendenza, perché attivare processi sostenibili negli edifici significa avere costi di esercizio più bassi, maggiore comfort degli spazi interni e una migliore reputazione, apprezzata sempre di più oggi dalla finanza. Pensiamo ai brand della moda, che puntano sempre di più nella realizzazione di "store" sostenibili. È molto più complicato invece per le famiglie».
«L'efficienza energetica di un immobile è comunicata malissimo e l'attenzione da parte dei privati è ancora bassa: difficile che un cliente ci chieda qual è l'impatto ambientale dell'edificio a cui è interessato, raramente va oltre i tre fattori-chiave di prezzo, posizione e metratura» aggiunge Roberto Moretti, chief sales officer di Aquileia capital services che possiede o gestisce circa 2 mila immobili. «Nel mondo degli investitori istituzionali come banche e assicurazioni invece il tema è molto sentito».
Il settore degli immobili presenta però alcuni paradossi: se acquisto una casa nuova che inquina meno pago più tasse rispetto a un appartamento vecchio e inefficiente. E poi le città italiane sono piene di palazzi abbandonati che non vengono abbattuti mentre i Comuni permettono di consumare terreno per costruire nuovi edifici. «Ritengo giusto che ci sia una tassazione maggiore per le nuove realizzazioni» replica Pieretti «soprattutto se sono edificate su "greenfield»" poiché sottraggono terreno alle aree verdi ed estendono ancora di più il perimetro delle città verso l'esterno, gravando poi sulle infrastrutture urbane. Aspetto diverso è la demolizione e ricostruzione che dovrebbe essere completamente detassata, perché produce un doppio beneficio in termini di contenimento energetico e sicurezza in caso di calamità sismiche».
Tuttavia, come sottolinea Moretti, in Italia si demolisce poco perché «i proprietari non vendono nell'illusione di ottenere un prezzo spesso irrealistico, oppure ci sono troppi edifici che sono tutelati dalla Soprintendenza per il patrimonio storico e artistico e non possono essere toccati». «Abbattere e ricostruire vecchie case popolari sarebbe sensato anche da un punto di visto economico» riconosce Katiuscia Eroe di Legambiente «ma in Italia manca una politica in questa direzione e da parte dei cittadini c'è una certa sfiducia verso il pubblico: difficile convincerli a lasciare una casa in attesa che venga costruita quella nuova».
Una spinta verso l'adeguamento del nostro patrimonio immobiliare è arrivata con il bonus del 110 per cento sulle ristrutturazioni edilizie che sembra decollare: «Il bonus sta funzionando molto bene» dice Moretti «e vedremo i primi effetti con il grosso dei cantieri a partire da settembre. È un provvedimento che presenta un duplice vantaggio: rimette in moto l'edilizia e renderà molti edifici più efficienti da un punto di vista energetico. Certamente sarà molto difficile raggiungere quanto ci chiede l'Unione europea nei tempi previsti, ma non è impossibile». Vedremo.