Attende la sentenza da due anni per la madre morta dopo la dimissioni dall'ospedale
MASSA. Era l’8 gennaio del 2004, quando venne trasportata in ambulanza al pronto soccorso del vecchio ospedale di Massa. Aveva dolori al torace e, dal momento che 20 anni prima, a 28 anni, aveva avuto un infarto, il timore era che fosse di nuovo quello. Ma dalla lastra non risultava. Venne dimessa con la raccomandazione di tornare il giorno dopo. Il giorno dopo è morta, a 49 anni.
La figlia, oggi, 17 anni dopo, non sa ancora se ha diritto a un risarcimento per quella morte prematura. A dicembre, il suo avvocato, Claudia Volpi, ha depositato la memoria conclusiva per la richiesta di risarcimento danni, che è la fase finale del processo civile, e il 18 gennaio il fascicolo è stato rimesso al giudice per la decisione, ma da allora non è ancora stata emessa la sentenza. «Non ce la faccio più. Come si fa a stare così, in attesa, per anni, senza sapere niente? Con il giudice che non decide e non sai che decisione prenderà», racconta la figlia a Il Tirreno. Piange, al telefono, e si scusa. «Dopo 17 anni non riesco ancora a non piangere quando parlo di lei. Eravamo legatissime. Era la mia vita».
Lei aveva 30 anni, all’epoca, ed era già mamma. «Aveva voluto tanto un nipote e non se l’è neppure potuto godere. Nemmeno il primo compleanno è riuscita a festeggiare». Quel giorno era in ospedale con lei. «Faceva controlli periodici da quando aveva avuto l’infarto e i sintomi sembravano gli stessi. Non riusciva nemmeno a muovere una gamba, non respirava».
Dopo gli accertamenti venne dimessa dal pronto soccorso. Il giorno dopo morì per, come venne riportato nel referto, «arresto cardiocircolatorio da tamponamento cardiaco susseguente a dissezione dell’aorta ascendente non diagnosticata tempestivamente».
La figlia era a casa, quando l’hanno chiamata. «Stavo aspettando che tornasse mio marito per tenere il bimbo e poi sarei andata da lei – racconta –. Alle 17.15 invece mi ha chiamato mio babbo e mi dice che la stavano portando di nuovo all’ospedale con l’ambulanza. Quando sono arrivata era già morta».
La famiglia presentò denuncia e venne indagato per omicidio colposo uno dei medici che aveva visitato la donna. Ma nel 2008 il professionista venne assolto dopo l’incidente probatorio.
Secondo il perito il medico «non avrebbe potuto fare diversamente dal momento che gli esami clinici svolti non potevano far sospettare l’esistenza della patologia in atto». Evidenziando «che nel caso di specie si è trattato di un lavoro in equipe dove ciascuno dei protagonisti ha fatto affidamento sul corretto svolgimento dell’attività professionale da parte degli altri».
La figlia non si è mai arresa e, assistita dal suo legale, ha iniziato la causa civile, chiedendo un risarcimento danni di oltre 780mila euro ai due medici che hanno visitato la madre il giorno prima che morisse e all’Asl. Ma da oltre due anni, come detto, attende una risposta per poter chiudere, almeno fuori, un fascicolo che, dentro, non si chiuderà mai.